Ad oggi (maggio 2022) i passaggi non sono stati ancora completati, ma il nuovo regolamento UE sulle criptovalute è a buon punto. Infatti, si è già tenuta la votazione della Commissione Europea, che ha approvato un testo abbastanza specifico su alcuni dei temi cari agli investitori crypto di ogni ordine e grado. La notizia ha generato molto scalpore e ha già mosso i mercati.
Buona parte degli investitori ha accolto questo giro di vite dell’UE con scetticismo, altri con preoccupazione. Tuttavia, la regolamentazione non è necessariamente una cattiva notizia. Certo, pone in essere alcuni rischi, soprattutto per il mercato europeo, ma offre anche degli interessanti strumenti di tutela.
Ne parliamo qui, riassumendo il contenuto del testo approvato e fornendo una riflessione sul tema della regolamentazione.
Il mondo crypto e il tema della regolamentazione
Il tema della regolamentazione tiene da sempre banco tra gli investitori delle criptovalute, sia quelli che adottano un approccio più compassato e puntano sulla crescita degli e-wallet, sia quelli che intendono l’investimento in un senso più aggressivo e speculativo. Gli schieramenti sono in particolare due: da un lato troviamo chi auspica una regolamentazione, per porre fine ai rischi insiti in un mercato ancora troppo sensibile alla presenza delle mele marce; dall’altro lato chi teme qualsiasi passo in avanti verso la regolamentazione, in quanto crede che dalle istituzioni politiche e monetarie possano giungere solo provvedimenti di carattere restrittivo.
Da un punto di vista più oggettivo, è tuttavia innegabile che una regolamentazione sia necessaria. Attualmente, il mondo crypto si trova a metà del guado: i suoi asset godono ormai di sufficiente dignità, la percezione è migliorata notevolmente in questi anni, ma il buco legislativo è degno dei mercati più “oscuri” e pericolosi.
D’altrocanto, gli esempi di propositi di regolamentazione che partivano bene e si sono conclusi “malissimo”, con una stretta imponente, si sprecano. Giusto per citare un paese che negli ultimi tempi ha fatto il bello e il cattivo tempo (più cattivo che bello): la Cina.
È anche vero che ogni qualvolta gli esponenti di questa o quella istituzione aprono bocca per parlare delle criptovalute, i toni non sono mai troppo concilianti. Anzi, le valute virtuali vengono viste quasi come una minaccia, come un rischio per la trasmissione monetaria così come l’abbiamo sempre conosciuta. I timori, almeno da un punto di vista emotivo, sono più che fondati.
Cosa bolle nella pentola della UE
Il testo è molto lungo e complesso, e tocca parecchi temi. Quello più saliente consiste nell’applicazione del Transfer of Fund Regulation anche alle società che operano nel mondo delle criptovalute. Tale regolamento prevede una serie di obblighi, i quali puntano a scongiurare il rischio che gli operatori – e le loro piattaforme – vengano utilizzati per attività illecite, riciclaggio e acquisto di merci non consentite (es. armi e droga). L’obbligo più importante consiste nella verifica delle titolarità dei fondi. Tradotto nel mondo crypto: gli Exchange sarebbero chiamati a verificare sempre e comunque la titolarità degli e-wallet. Addio anonimato, dunque, e addio anche a quelle zone “grigie” in cui l’identificazione è necessaria, ma questa non viene mai sottoposta a verifica. Una zona grigia che molti Exchange, c’è da dire, sfruttano per rendersi più attrattivi.
Detta così, il provvedimento sembra promettente. Scoraggiare la partecipazione di soggetti poco raccomandabili, che potrebbero utilizzare le criptovalute per affari illeciti, significa favorire chi le criptovalute le utilizza per investire, significa premiare gli operatori onesti. Tuttavia, il provvedimento, così com’è stato presentato, pone in essere alcuni interrogativi e suggerisce alcune derive pericolose. Ne parliamo nel prossimo paragrafo.
Le distorsioni del nuovo regolamento UE
In particolare, il testo non prende in considerazione alcuni casi specifici, che si rivelerebbero tutt’altro che rari. Per esempio, gli Exchange che mettono sì a disposizione i loro servizi ai cittadini europei, ma che mantengono la propria sede legale al di fuori dell’Unione Europea. Questi sarebbero nel pieno diritto di non rispettare l’obbligo di identificazione. Cosa succede in questo caso? L’UE prevederà delle limitazioni direttamente a carico dei consumatori, non potendo agire sugli Exchange esteri?
Se no, il provvedimento potrebbe rivelarsi un buco nell’acqua, in quanto l’obbligo sarebbe facilmente aggirabile: basterebbe spostare la sede legale. Se sì, apparirebbe come una sorta di punizione per i cittadini europei, una contrazione delle loro possibilità di scelta. È facile immaginare, a questo punto, una sorta di migrazione dei capitali verso protocolli ancora non regolamentati e ancora più decentralizzati, come quelli che fanno riferimento al mondo De-FI.
Nella peggiore delle ipotesi, il provvedimento non sarebbe solo poco utile e poco efficace, ma addirittura controproducente. Se buona parte degli investitori migrasse verso le De-Fi, aumenterebbero anche sul suolo europeo le attività non sottoposte a regolamentazioni e impossibili da tracciare. Esattamente il contrario di quanto si propone di fare l’Unione Europea.
Tutto ciò è riconducibile al proverbiale conflitto tra sicurezza e indipendenza, regolamentazione e riservatezza. Niente di nuovo sotto al sole, e infatti alcuni privati si stanno muovendo per offrire agli Exchange la possibilità di verificare da sé l’identità dei titoli di e-wallet, senza attendere interventi governativi, magari potenzialmente posticci. Il riferimento è alla progettazione e alla prossima diffusione di software che da un lato permettono una verifica della titolarità, e dall’altro lato salvaguardano il desiderio di privacy degli utenti. In questo modo, si sanerebbe una contraddizione che da sempre domina il mercato delle criptovalute.
Dopo il voto della Commissione Europea, si attende quello del Parlamento Europeo. Dunque, il testo è ancora emendabile. Insomma, c’è ancora tutto il tempo e le risorse per migliorarlo e sanare queste contraddizioni.