L’euro dollaro ha stupito investitori e analisti in questo 2022. Da tempo si vociferava della parità come un evento particolare, uno spartiacque, benché niente affatto probabile. E invece non solo è arrivata, ma per lungo tempo ha rappresentato non già un supporto, quanto una resistenza, venendo superata da un trend della moneta unica negativo come pochi altri nella sua storia. Poi, alle porte dell’autunno, il vento è parso cambiare, prima con reticenza e infine con forza.
Cosa sta succedendo? Come si spiegano questi peculiari movimenti dell’euro dollaro? Proviamo a dare una spiegazione, prendendo in considerazione anche l’operato delle banche centrali.
Cosa sta accadendo all’euro dollaro
La tanto agognata (da alcuni) parità euro dollaro è stata raggiunta il 13 luglio 2022. La situazione, in parte, era identica a quella che stiamo vivendo oggi [autunno 2023]: la guerra infuria, l’approvvigionamento energetico è difficile, lo spettro della recessione in progressivo avvicinamento e soprattutto tanta inflazione.
Per qualche mese il cambio si è mosso in laterale, pur esprimendo un carattere irregolarmente ribassista. Il minimo è stato raggiunto il 26 settembre, quando è stato toccato lo 0,96. Poi, certo con una spiccata gradualità e una considerevole abbondanza di ritracciamenti, l’euro ha risalito la china, oppure il dollaro ha ricominciato a svalutarsi.
Già a inizio novembre la parità è stata superare e alle porte di dicembre il movimento si è consolidato, acquisendo i crismi di un vero e proprio trend ribassista.
Ci sarebbe da chiedersi: è tramontato il sogno della parità, che certo semplifica l’economia minuta – si fa presto a fare il calcolo – ma che complica l’import-export soprattutto in un periodo in cui gli USA agiscono da grandi esportatori?
Ovviamente non è dato saperlo, ma qualche previsione può essere fatta. Ovviamente, per avere qualche chances di “intuire” il futuro è necessario comprendere le cause di questo cambiamento di tendenza.
Perché l’euro dollaro è in salita
L’euro dollaro è sceso in picchiata per quasi tutto il 2022 presumibilmente perché l’economia dell’area Euro è parsa agli investitori più esposta alla crisi energetica e all’aumento drammatico dell’inflazione. Vari segnali di debolezza, anche politici, si sono ripercossi sul cambio e in particolar modo sulla moneta unica.
Dal punto di vista prettamente economico, non è cambiato molto. L’Europa è alle porte della recessione, o comunque di un deciso rallentamento dell’economia. La guerra è ancora in corso, i prezzi del gas e dell’energia galleggiano a livelli molto elevati.
Che è successo, dunque? Le spiegazioni sono due, e non necessariamente si escludono.
In primo luogo, alcuni dati americani, proprio a partire da novembre, si sono rilevati più confortanti (o meno sconfortanti, a seconda della prospettiva) del previsto. Su tutti l’inflazione, che ha smesso di crescere a ritmi forsennati. Il mercato del lavoro, inoltre, sembra tenere molto bene. Un dettaglio non di poco conto, se si considera l’estrema fluidità “lavorativa” degli Stati.
In secondo luogo, ma è forse proprio questo il fattore più importante, le banche centrali si sono allineate. Se non nei numeri, comunque nella direzione e nell’intensità con cui il nuovo corso di politica monetario viene condotto. Un corso che parla di tassi in crescita. di una stretta che non si vedeva da parecchio tempo.
La Fed ha aperto le danze, la BCE l’ha seguita, inizialmente a distanza. Dopo l’aumento dello 0,75% dei tassi BCE, non ci possono essere dubbi: il massimo istituto finanziario del continente fa sul serio. Attualmente (fine novembre 2022) il tasso FED è al 3,75%-4,00% quello della BCE al 2,25%.
Queste dinamiche, dunque, non devono stupire. D’altronde, fa parte della dottrina la combo differita aumento dei tassi di interessu – rivalutazione della moneta. Inoltre, per alcuni aspetti, l’economia europea mostra dei confortanti segnali di resilienza.
Cosa aspettarsi in futuro
A queste condizioni, in questo contesto, è davvero difficile fare previsioni sul futuro. Ci sono troppi fattori in gioco, troppe dinamiche che, a seconda del loro sviluppo, possono stravolgere le carte in tavola.
Per quanto concerne le politiche monetarie, tanto la Fed quanto la BCE hanno dischiarato una sorta di “non finisce qui”. A dire il vero, questo mantra è stato urlato a più riprese dalla banca centrale americana, mentre è stato solo sfiorato dalle comunicazioni della BCE. Quest’ultima, infatti, ha dichiarato che deciderà di volta in volta, meeting dopo meeting, in base ai dati. Dichiarazioni che sono suonate come un tentativo di non generare ansie e preoccupazioni, visto che le prospettive parlando chiaro, e non suggeriscono una diminuzione rapida dell’inflazione.
E’ ovvio, se le banche centrali dovessero giocare a rimpiattino, come hanno fatto fino a questo momento, l’euro potrebbe continuare a rivalutarsi. E’ possibile però che la BCE “getti la spugna” ovvero allenti la politica monetaria ben prima di quanto non farebbe la Fed, vista la necessità di recuperare terreno economico lamentata dagli stati membri della BCE.
Ci attende un 2023 ricco di incognite. L’economia potrebbe reggere, magari sospinta da una progressiva risoluzione dei disordini geopolitici. In quel caso, la politica monetaria potrebbe farsi più accomodante e segnalare una nuova debolezza dell’euro. Può accadere però anche il contrario, con una economia capace di reggere l’aumento dei tassi di interesse, i quali rimarrebbero elevati a lungo.