Il celebre fisico Richard Feynman, noto per il suo pensiero anticonformista e geniale, una volta affermò con ironia: “Immaginate quanto sarebbe più complicata la fisica se gli elettroni avessero sentimenti.” Con questa frase, Feynman sottolineava uno dei principi cardine della scienza: la prevedibilità garantita da leggi immutabili applicate a entità prive di soggettività.

Trasferendo questa riflessione al mondo della finanza, emerge chiaramente una realtà opposta: i mercati finanziari, dominati da investitori umani, sono tutt’altro che privi di emozioni. Paura, euforia, eccessiva fiducia e panico sono solo alcune delle emozioni che influenzano quotidianamente le decisioni di investimento.

In questo articolo analizzeremo come le emozioni incidano sulle scelte degli investitori, approfondendo il tema attraverso esempi concreti e contestualizzando il fenomeno nell’attuale scenario macroeconomico globale.

Overconfidence: il bias invisibile che mina le performance degli investitori

In un mondo ideale, gli investitori agirebbero come calcolatori razionali, analizzando rigorosamente i fondamentali aziendali, stimando flussi di cassa futuri e ponderando attentamente i rischi. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Uno dei bias cognitivi più pericolosi è proprio l’overconfidence, ovvero l’eccessiva fiducia nelle proprie capacità di analisi e previsione.

L’overconfidence porta spesso gli investitori a credere erroneamente di possedere informazioni superiori rispetto agli altri operatori del mercato. Questo atteggiamento risulta particolarmente dannoso nei periodi di forte incertezza economica e politica, quando i punti di riferimento tradizionali vengono meno. Le conseguenze possono essere gravi: assunzione di rischi eccessivi, scarsa diversificazione del portafoglio o esposizione prolungata ad asset sopravvalutati.

Esempio pratico: l’impatto delle politiche protezionistiche USA sui mercati globali

Un esempio recente che evidenzia chiaramente l’interazione tra emozioni e decisioni politiche è rappresentato dalle politiche commerciali protezionistiche adottate durante l’amministrazione Trump negli Stati Uniti. L’introduzione improvvisa di dazi doganali – spesso annunciati tramite tweet presidenziali – ha generato forti oscillazioni sui mercati finanziari globali.

Basti pensare all’indice della volatilità VIX (noto anche come “indice della paura”), che ha raggiunto un picco storico di 60,13 punti il 7 aprile 2025. Queste misure protezionistiche hanno avuto un duplice effetto:

  • Effetto economico diretto: interruzione delle catene globali del valore, aumento dei costi aziendali e riduzione della competitività internazionale.
  • Effetto psicologico indiretto: amplificazione delle reazioni emotive degli investitori, alimentando timori di conflitti commerciali globali o entusiasmi temporanei legati a possibili accordi.

Razionalità compromessa tra geopolitica ed emozioni collettive

Sotto il profilo economico razionale, il libero scambio si basa sul principio del vantaggio comparato: ogni paese dovrebbe specializzarsi nella produzione in cui è più efficiente. L’introduzione dei dazi altera questo equilibrio ottimale generando inefficienze economiche, inflazione e riduzione generale del benessere.

Tuttavia, dal punto di vista psicologico e politico, queste misure rispondono a logiche differenti: protezione dell’occupazione nazionale, sovranità economica o persino nostalgia industriale. Le emozioni collettive – paura della disoccupazione o desiderio di controllo nazionale – si traducono in decisioni politiche che a loro volta influenzano le emozioni individuali degli investitori. Si crea così un circolo vizioso che mina ulteriormente la razionalità dei mercati.

L’importanza degli “animal spirits” secondo Keynes

L’economista John Maynard Keynes definì “animal spirits” quell’impulso irrazionale basato sull’ottimismo che spinge gli imprenditori a investire anche in condizioni incerte. Quando però l’incertezza diventa strutturale – come nel caso delle guerre commerciali – questi impulsi positivi tendono a indebolirsi drasticamente. Le aziende esitano a investire, i consumatori riducono la spesa e gli investitori diventano sempre più avversi al rischio.

E se gli investitori fossero privi di emozioni?

Tornando all’ipotesi iniziale ispirata da Feynman: immaginate un mercato finanziario popolato da investitori completamente razionali e privi di emozioni. Ogni decisione sarebbe frutto esclusivamente di analisi probabilistiche rigorose e oggettive. Un simile scenario porterebbe certamente maggiore efficienza e stabilità ai mercati finanziari; tuttavia perderebbe inevitabilmente quella componente umana che rende la finanza una scienza sociale piuttosto che esatta.

Bolle speculative, crash improvvisi ed episodi di volatilità estrema sono infatti fenomeni tipicamente umani legati alle passioni collettive e alle narrazioni condivise dagli operatori del mercato.

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Come gestire le emozioni per migliorare le performance finanziarie

Cosa può fare dunque un investitore consapevole per navigare con successo in questo contesto emotivamente instabile? Ecco alcuni consigli pratici:

  • Riconoscere i propri bias cognitivi: identificare chiaramente overconfidence, avversione alle perdite o ricerca selettiva delle informazioni (confirmation bias).
  • Accettare l’incertezza come condizione permanente: non considerarla un’anomalia temporanea ma una caratteristica intrinseca dei mercati finanziari moderni.
  • Diversificare adeguatamente il portafoglio: evitare reazioni impulsive dettate da panico o entusiasmo momentaneo; puntare su strategie solide orientate al lungo termine.

A differenza degli elettroni immaginati da Feynman, gli investitori sono inevitabilmente guidati dalle emozioni. Tuttavia è proprio nella capacità di gestire queste emozioni con consapevolezza e disciplina che risiede la chiave per ottenere risultati positivi sui mercati finanziari.