Si fa un gran parlare di mercati emergenti, visti da molti investitori come un vero e proprio eldorado. L’idea di investire sui mercati emergenti, a prescindere dallo strumento (fosse anche il trading online) ha sfiorato e sfiora la mente di tutti gli investitori.
Conviene? E’ difficile, o almeno più difficile che investire nei mercati sviluppati? Le incognite sono molte. Come in tutte le cose della vita (e del trading) l’unico vero segreto per spuntare è conoscere l’oggetto del desiderio.
Ecco quindi una guida esaustiva sui mercati emergenti. Daremo una definizione concreta, al netto dell’immaginario collettivo, di mercato emergente; parleremo dei rischi e delle opportunità connesse, in generale, all’investimento sui mercati emergenti; daremo qualche consiglio pratico.
Una definizione di mercati emergenti
Quando si parla di mercati emergenti, viene in mente il concetto di BRICS. Il senso comune, d’altronde, ha realizzato ormai da molto tempo l’identità mercati emergenti – BRICS. E’ veramente così? Mercati emergenti e BRICS sono la stessa cosa? Per rispondere a questa domanda è necessario capire cosa siano i BRICS e, ovviamente, cosa siano i mercati emergenti. Insomma, è necessario dare una definizione.
BRICS è semplicemente un acronimo. Nello specifico, il termine sta per Brasile Russia India Cina Sud Africa. L’acronimo riunisce i più importanti mercati emergenti…. Di qualche anno fa. I suoi limiti sono innanzitutto temporali. Il termine, infatti, si riferisce ai mercati emergenti dell’epoca in cui il termine stesso è stato creato. Ma, si sa, il mondo evolve e l’economia anche, quindi non è detto che attualmente Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa siano mercati emergenti. Di certo, i mercati emergenti non si riducono a questi cinque. Ad ogni modo, il senso comune, un po’ per pigrizia un po’ per sineddoche, tende ad etichettare un qualsiasi mercato emergente come BRICS, a prescindere dal fatto che sia rappresentato o meno dall’acronimo.
Ma cos’è nello specifico un mercato emergente? La definizione più breve, ma anche la meno limpida, è la seguente: un mercato emergente è un’economia in via di sviluppo. Una frase che, senza ulteriori specificazioni, vuol dire poco o niente. E’ bene, quindi, elencare le caratteristiche che fanno di una economia un mercato emergente.
Carenza di infrastrutture. Va da sé che un paese, per essere in via di sviluppo, deve avere un deficit di infrastrutture, che, per l’appunto, necessitano di essere sviluppate. Ne consegue anche che un mercato emergente, in quanto a corto di infrastrutture, è profondamente attrattivo di investimenti esteri.
Demografia “giovane”. I paesi in via di sviluppo hanno storicamente una demografia particolare, in cui la fascia di età che va fino ai 29 anni è iper rappresentata. E’ ovvio anche questo passaggio: se un paese è giovane, è alta la domanda di servizi specifici e non legata esclusivamente al sistema previdenziale. Quindi, è necessario creare strutture che erogano questi servizi. La conseguenza della questione demografica è che i paesi emergenti abbondano di forza lavoro, il ché è un fattore che spinge i paesi sviluppati a delocalizzare.
Classe media ridotta o poco esistente. I paesi in via di sviluppo sono a corto di classe media, che invece abbonda nei paesi sviluppati.
Basso debito pubblico. Questo è un elemento in parte eredito dai vecchi regimi comunisti (buona parte dei paesi emergenti appartenevano alla sfera sovietica o erano a trazione socialista) e in parte una conseguenza dei tratti precedentemente descritti. Anche perché i paesi in via di sviluppo sono per definizione poveri e contemporaneamente ricchi di potenziale, e la povertà sottintende a un proletariato piuttosto nutrito.
Moneta debole. In un regime di cambi variabili, la valuta riflette la forza economia di un paese. Ne consegue che i paesi in via di sviluppo, essendo meno ricchi di quelli sviluppati, hanno valute più deboli. Va considerata anche l’elevata inflazione che caratterizza i paesi in via di sviluppo, generata da una crescita troppo rapida e da investimenti statali spesso abbondanti se non azzardati. Proprio l’inflazione è uno dei più grandi rischi connessi all’investimento sui mercati emergenti.
Ora, è evidentemente che buona parte dei BRICS difetti di almeno un paio di queste caratteristiche. Per esempio, la Cina non ha carenza di infrastrutture, anzi è andata all’attacco dei paesi meno sviluppati. Piuttosto che attrarre investimenti esteri, è lei che investe. Qualche dozzina di anni fa, quando il termine BRICS ha fatto la sua comparsa, la situazione era ben diversa.
Allo stesso modo, anche la Russia non ha una carenza di infrastrutture. L’India già è messa peggio. Insomma, la situazione è complicata, proprio perché il termine BRICS è figlio dell’epoca in cui è stato coniato.
Se guardiamo alle caratteristiche appena elencati, i mercati emergenti puri sono tutti (o quasi) i paesi dell’America Latina, l’India e buona parte dei paesi del sud est Asiatico, in primis le Filippine.
Rischi e opportunità dei mercati emergenti
Ora che abbiamo compreso cosa siano realmente i mercati emergenti, possiamo procedere con la presentazione dei rischi e delle opportunità connesse agli investimenti.
Partiamo dalle opportunità. La più grande opportunità consiste, appunto, nella estrema vitalità dei mercati emergenti. Gli investimenti, sia esteri che pubblici, sono davvero numerosi. La verità è che, detta in parole povere, ci sono “tante cose da fare”. Ne consegue che i rendimenti sono molto elevati.
Un’altra opportunità risiede nella varietà del mondo “mercati emergenti”. I paesi sviluppati, all’interno di un sistema capitalista (come è quello odierno) si somigliano tutti, sebbene qualche differenza – ovviamente – possa essere segnalata a tutti i livelli. I mercati emergenti sono invece più vari. Il punto di arrivo delle economie capitaliste è il medesimo, il punto di partenza invece è quanto mai eterogeneo. Ciò conferisce ampi margini di diversificazione degli investimenti nei mercati emergenti.
Quali sono i rischi?
Qui il discorso si fa più lungo e complicato. Sono numerosi, infatti, i fattori che decretano il successo di un mercato emergente, e di conseguenza sono tantissimi gli elementi che vanno presi in considerazione. Perché è ovvio, se un mercato emergente incontra un ostacolo o sospende (o peggio interrompe) il suo percorso di crescita, a farne le spese sono anche gli investitori che hanno investito su quel progetto. Proviamo a fare ordine.
Il primo elemento da prendere in considerazione è l’estrema dipendenza che tutti, ma proprio tutti, i mercati emergenti hanno nei confronti dei paesi sviluppati. In parole povere, dipendono dagli investimenti esteri. Ora, è evidente che, dal momento che “tutto si lega”, se i paesi cosiddetti ricchi sono in difficoltà lo diventano ben presto anche quelli emergenti. Ora, i paesi sviluppati hanno per loro stessa natura i mezzi per mettere a posto le loro economie, i mercati emergenti no. Le conseguenze di questo effetto domino si sono visti in questo decennio: la crisi in Europa e negli Stati Uniti ha messo in crisi la Cina, che si è vista ridurre le sue esportazioni. Come ha risposto la Cina? In maniera drastica: trasformando la sua economia e diventando…. Un po’ meno emergente. In estrema sintesi si è occidentalizzata, puntando sullo sviluppo della classe media e sui consumi interni.
Se i mercati emergenti sono dipendenti dai paesi sviluppati, vanno incontro a un’altro pericolo, di natura certamente diversa ma non meno devastante: la carenza di liquidità. Gli investimenti esteri dipendono dalla liquidità “estera”, ossia dal denaro che, molto banalmente, proviene da fuori. Se la politica monetaria espansiva dei paesi sviluppati è accomodante, o semplicemente neutrale, la liquidità è assicurata. Se la politica monetaria è, di contro, restrittiva, la liquidità si riduce e i rubinetti di chiudono anche per i mercati emergenti. Questa è una debolezza, in quanto l’effetto domino può essere devastante e mettere in crisi un paese.
Un altro rischio, che è forse quello più importante, è l’inflazione. Abbiamo già detto che una crescita troppo veloce e squilibrata porta all’inflazione. Ora, l’aumento dei prezzi è fisiologico e, anzi, un segnale positivo. Quando l’inflazione va fuori controllo, però, iniziano i guai, perché si scatena anche il panico e gli investitori letteralmente fuggono dai mercati emergenti. L’investitore può vedere trasformarsi in fumo il suo capitale in men che non si dica a causa dell’inflazione. Se i rendimenti superano l’inflazione, allora va benissimo. I problemi iniziano (e si concludono, anche perché non rimane che uscire dall’investimento) quando l’inflazione supera i rendimenti.
Infine, va considerato anche il rischio geopolitico. A dire il vero, questo era preponderante qualche decennio fa, quando il mondo era uscito da poco dalla guerra fredda e gli assetti statali dovevano ancora essere sistemati, ma è presente ancora adesso. Di base, il rischio geopolitico è la morte di qualsiasi investimento. Nei mercati emergenti è semplicemente più alto, dal momento che è instabile l’economia e la democrazia, nella maggior parte dei casi, non è compiuta e non ha permeato – oltre alle istituzioni – la mentalità della popolazione.
Come abbiamo visto, i rischi sono molti. Ovviamente, ciascun ha un peso diverso e, tutto sommato, se messi a confronto con le opportunità, non sono tali da frenare i proposti dell’investitore non eccessivamente amante della prudenza. Sia chiaro, il rischio fa parte di questo genere di investimenti, ma anche il rendimento. Siamo alle solite: il rischio e il rendimento sono due parametri fisiologici proporzionali in modo indiretto. Se siete prudenti, e vi fa paura il rischio, non pensate nemmeno a investire nei mercati emergenti.
Consigli per investire nei mercati emergenti
Abbiamo visto cosa sono i mercati emergenti e i rischi e le opportunità connesse agli investimenti. Possiamo ora presentare alcuni consigli pratici, soprattutto sul tema “quale mercato scelgo”? Prima di rispondere a questa domanda è necessario fare una precisazione: scegliere va bene, ma diversificare è meglio. Fossilizzarsi in un solo paese rappresenta un rischio, perché se quel paese produce prestazioni non all’altezza, gli investimenti ne soffrono.
Il primo fattore da prendere in considerazione è quello della stabilità. Come abbiamo visto, tutti i mercati emergenti hanno un certo grado di instabilità, quindi il trucco è capire quelli che stabili e quelli che lo sono di meno. Un elemento di stabilità è dato dalla classe media. Laddove la classe media è forte, il sistema è più stabile. Il motivo è semplice: la classe media consente di convertire, all’occorrenza, l’economia secondo un approccio più “occidentale”, che non dipenda strettamente dagli investimenti esteri. L’esempio di questo meccanismo lo ha dato di recente la Cina, che in pochi anni, grazie a una classe media ben presente – per quanto non al livello dei paesi occidentali – è riuscita a ripensare se stessa. Da questo punto di vista, i mercati emergenti da prendere in considerazione sono Argentina, Cile, Brasile e India.
Un altro fattore da considerare è la diversificazione delle economie. E’ un tratto frequente, ma non necessariamente tipico, dei paesi emergenti avere economie non molto diversificate, che dipendono da pochi elementi. In genere, le economie emergenti dipendono dalle esportazioni di un bene che, in quelle zone, è particolarmente abbondante. Il riferimento principale è al petrolio, ma potrebbe valere per qualsiasi asset. Ora, se quell’asset per qualsiasi motivo crolla, e il prezzo va a picco, quell’economia si trova in grande difficoltà. Il Venezuela, per esempio, è in ginocchio perché il petrolio si è deprezzato fino a raggiungere i minimi da molti anni a questa parte. Il consiglio, quindi, è evitare di investire nei paesi africani meno stabili da questo punto di vista, o almeno, in presenza di investimenti nel “continente nero”, diversificare molto.
Il terzo fattore è connesso al secondo e riguarda gli asset a disposizione di una economia emergente. E’ bene questi asset siano legati a fonti, per così dire, non deperibile, come appunto può essere una materia prima. Da questo punto di vista, uno dei migliori asset è dato dal turismo. Persino un paese sviluppato come l’Italia utilizza – o dovrebbe farlo – il turismo come leva per la crescita. Ora, sono molti i paesi emergenti che vivono in condizioni tali da poter sfruttare la leva del turismo. Molti sono nel sud est asiatico, come la Thailandia.
Infine, va preso in considerazione un dato fondamentale: la geopolitica. I conflitti, siano essi sociali o guerreggiati, ammazzano letteralmente gli investimenti, causando effetti domino a vari livelli. Molti mercati emergenti non sono, di fatto, mai emersi, perché hanno dovuto gestire eventi potenzialmente e fattivamente distruttivi. Questo ragionamento va fatto sempre, ma soprattutto in questo periodo, molto più caotico rispetto alle fasi storiche precedenti.
I mercati emergenti nel 2018
Cosa ne sarà dei mercati emergenti nel prossimo futuro? Su cosa si dovrebbe puntare per i 2018?
Si potrebbero prendere a riferimento i paper prodotti dalle maggiori banche commerciali, che regolarmente informano gli investitori sui rischi e offrono outlook piuttosto interessanti. Uno dei più interessanti da questo punto di vista è quello di Craig Botham, Emerging Markets Economist di Schroders, che ha analizzato a tutto tondo le prospettive dei mercati emergenti per il 2018.
Emerge un quadro nel quale uno dei rischi più impattanti sarà rappresentato dalla stretta monetaria della Federal Reserve. A dire il vero, la banca centrale americana ha già iniziato ad alzare i tassi, ma una nuova incognita si scorge all’orizzonte: il cambio di leadership. Tra qualche mese, infatti, Janet Yellen cederà lo stretto. Ora, la presidenza della Yellen si è caratterizzato per un approccio molto graduale e prudente, sebbene da più parti siano state avvertite pressioni per un’accelerazione del ritmo. Se i tassi si alzano, la liquidità globale si riduce e i mercati emergenti rischiano di entrare in sofferenza. E questo non vale solo per la Fed ma anche per le altre banche centrali. Questa è la situazione come la dipinge Botham.
“Oggi, le Banche centrali stanno riconsiderando le misure non convenzionali. La Bce sta discutendo la riduzione (tapering) del Qe e ci aspettiamo che il processo venga completato entro fine 2018. La Fed sta valutando di ridurre la dimensione del bilancio, quello che sembrerebbe un cambiamento più sostanziale rispetto al tapering, anche se finora gli asset emergenti hanno mostrato scarse reazioni. La politica monetaria sta diventando più restrittiva anche in Cina, dove i tassi sul mercato stanno salendo anche se i tassi di riferimento sono invariati”.
Se le cose stanno così, quali sono i mercati emergenti che soffriranno di più? La discriminante secondo l’esperto è rappresentata dalla coppia: debito-inflazione. Laddove questi due parametri sono contenuti, il rischio sarà minore. Infatti, secondo Craig Botham:
“Il Sudafrica e la Turchia, insieme ad alcuni paesi dell’America Latina (Perù, Cile, Colombia), sembrano vulnerabili. Al contrario, i paesi emergenti di Europa ed Asia (con l’eccezione della Malesia) sembrano protetti dai loro livelli inferiori di debito e inflazione, e dai tassi di interesse reali più elevati” tiene a precisare Craig Botham, secondo il quale la forte crescita del credito domestico potrebbe rappresentare un altro rischio, se la liquidità globale dovesse diminuire”.
Cosa si può dire, invece, sul rischio valutario? D’altronde è proprio la svalutazione uno degli eventi che più degli altri mina i rendimenti, in alcuni casi erodendoli completamente. Secondo Botham, alcuni paesi, anzi alcune valute soffriranno più di altri. Dipende, ovviamente, dal grado di esposizione rispetto ai mercati internazionali (e dal grado di dipendenza). Nello specifico, l’impatto maggiore si dovrebbe verificare sul rand del Sud Africa, sul peso del Messico e sul won della Corea del Sud. Di contro, impatti minori si verificheranno sulla rupia indiana, sul rublo russo e sullo yuan cinese.
Cosa si può dire sull’inflazione? Da questo punto di vista Craig Botham è certo che i mercati emergenti, in generale, siano più attrezzati rispetto a qualche tempo per affrontare gli eventuali shock esterni. Una sicurezza, questa, che deriva dall’osservazione degli anni recenti.
“In particolare, l’aumento dei prezzi nelle economie che erano già ad alta inflazione, come India, Brasile o Russia, è stato molto più debole del normale. I mercati emergenti sono in generale meglio posizionati per assorbire uno shock inflazionario rispetto al passato. Ciò non significa che la politica monetaria non ne sarà influenzata, piuttosto che essa ha il potenziale per limitare l’aumento dei tassi”.