Perché investire nei fondi etici? Conviene? Soprattutto, cosa sono? In questo articolo rispondere a tali domande, approfondendo l’argomento, illustrando le opportunità per i risparmiatori e gli investitori, facendo luce su uno strumento che, a tutt’oggi, non è entrato a far parte della retorica mainstream.
Investire nei fondi etici come esigenza dello spirito
Prima di addentrarci nell’argomento, possiamo citare uno dei tanti motivi che potrebbe spingere a investire nei fondi etici. Nello specifico, nell’unico motivo completamente avulso dalle evidenza di natura tecnica economica. Esso infatti attiene alla sfera morale, e consiste nella necessità di adottare, in tutti i campi dell’esistenza, uno stile sostenibile. Per alcuni, sostenibile deve essere l’alimentazione, sostenibile deve essere il lavoro, sostenibile devono essere persone i momenti di divertimento. Dunque, anche gli investimenti devono essere sostenibili. Da qui la diffusione (ampia per questa categorie di persone, limitata in generale) dei fondi etici.
In Italia, i fondi etici sono ancora poco utilizzati. Certo, l’interesse verso di loro, in un contesto di crescente bisogno di finanzia sostenibile, è dato in forte aumento, ma per ora i fondi etici sembrano essere appannaggio soprattutto degli investitori internazionali. Nella classifica dei paesi che investono di più nei fondi etici spicca la Francia, che conquista il primo posto con 58 miliardi. L’Italia è solo nona, con 5 miliardi.
Cosa sono i fondi etici
I fondi etici, in realtà, come termine non esiste. Per comodità vengono chiamati così, ma ufficialmente sono noti come SRI, Socially Responsible Investment. In italiano, Fondi Socialmente Responsabili. Essi adottano criteri specifici, riassumibili con la sigla ESG, ossia Enviromental (criterio ambientale), Social (criteri sociali), Governance (criteri di trasparenza). Ciò significa che rispetto ai fondi tradizionali, ossia ai fondi comuni propriamente detti, i fondi etici mirano al rispetto dell’ambiente o al miglioramento delle condizioni ambientali, puntano a far crescere il tessuto sociale o a favorire direttamente il terzo settore, rispettano regole di trasparenza e di gestione molto più ferree. Molto spesso, infatti, i fondi etici finanziano in maniera diretta le realtà no-profit.
I fondi etici si sono diffusi soprattutto a partire dai primi anni del nuovo millennio, anche se un certo momento si è apprezzato anche dalla metà degli anni Novanta. Com’è facilmente intuibile, sono cresciuti di pari passo alla diffusione di una sensibilità spiccata per i temi di cui abbiamo dato contezza poco fa.
I fondi etici, però, sono pur sempre fondi, e quindi condividono tre “presenze” con quelli tradizionali.
Partecipanti. Ovviamente, i fondi etici per poter funzionale hanno bisogno dei fondisti, ossia degli investitori-risparmiatori che immettono del denaro, in quanto desiderosi di investirlo in realtà che rispettano i criteri ESG. Proprio come nei fondi comuni, i partecipanti ai fondi etici acquisiscono delle quote del fondo stesso.
Società di gestione. Anche i fondi etici rientrano nel campo del risparmio gestito. Ciò significa che dietro c’è una società che gestisce il denaro, cura la raccolta, la organizza, decide gli investimenti, compone un portafoglio etc. Da questo punto di vista, la struttura dei fondi etici è praticamente identica a quella dei fondi tradizionali.
Banche depositarie. Esse hanno la funzione di custodire il denaro, ossia i titoli del fondo e mettere a disposizione la liquidità. Le banche, inoltre, svolgono una attività di monitoraggio, nonché di verifica del rispetto della normativa vigente da parte del fondo. Ciò vale per i fondi etici tanto quanto per i fondi comuni.
Una precisazione: i fondi etici non vanno confusi con i fondi solidali. Questi ultimi, infatti, impongono ai sottoscrittori di devolvere parte dei rendimenti a progetti utili alla comunità, all’ambiente etc. I fondi etici, in verità, sono dei fondi il cui scopo è creare valore e offrire un finanziamento a progetti no profit che rispettino i criteri ESG. Insomma, i fondi etici non impongono ai sottoscrittori, che in questo caso si chiamano “fondisti” o “partecipanti” di devolvere alcunché.
I meccanismi dei fondi etici
Dal punto di vista meramente strutturale, come abbiamo visto, non ci sono grosse differenze tra fondi etici e fondi tradizionali (fondi comuni). Siamo pur sempre nel campo del risparmio gestito. Le vere differenze si apprezzano sotto il profilo delle politiche e dalla strategia. I fondi etici, infatti, non sono altro che strumenti di Investimento Socialmente Responsabile, e in quanto tali hanno lo scopo di favorire la crescita e il raggiungimento degli obiettivi da parte di realtà no-profit impegnate nella cura e nella preservazione dell’ambiente, nel miglioramento del tessuto sociale, nel supporto alle fasce deboli, nei progetti di recupero dei tossicodipendenti ed ex-carcerati etc.
Ma questa è sola la faccia della medaglia. Quella, per così dire, più nobile e disinteressata. C’è anche l’altra faccia, ovviamente. E, sia chiaro, è comunque nobile. Solo… Più ordinaria. I fondi etici, infatti, investono anche su aziende e società “normali”, quindi non no-profit. Esse, però, devono rispettare standard precisi.
Tali società, di fatto, mettono in campo politiche aziendali che esaudiscono le esigenze di tutela dell’ambiente, di sicurezza della merce prodotta, di integrità dei servizi offerti, di diritti alla salute e alla sicurezza per tutti i lavoratori. Inoltre, le società “ISR” non devono essere impegnate o coinvolte in attività giudicate poco nobili come il commercio di armi (anche legale), la produzione e la distribuzione di tabacco, alcolici etc.
Insomma, gli investitori che sottoscrivono un fondo etico, in parole povere, sono sicure che il loro denaro andrà o a progetti nobili, oppure ad aziende che, come minimo, rispettano determinati valori. E’ il miglior modo, insomma, per portare avanti una idea di finanza sostenibili non solo a livello di opinioni e convincimenti, ma anche all’atto pratico.
C’è però un elemento che è necessario descrivere, per spiegare appieno come funzionano i fondi etici. In realtà, si tratta dell’ennesimo punto in comune con i fondi comuni (quelli tradizionali per intenderci): la distinzione tra fondi passivi e fondi attivi.
I primi replicano, o tentano di replicare, nel proprio portafoglio la composizione di un indice azionario. Ossia, cercano di comporre il proprio portafoglio facendo esplicitamente riferimento a un determinato indice. Ovviamente, in questo caso parliamo di un indice azionario etico, quindi di un indice che di default fa riferimento solo titoli di società ISR (Investimento Socialmente Responsabile).
I secondi, invece, prevedono una gestione più complicata, attiva nel vero senso della parola. I gestori, infatti, compongono il portafoglio “manualmente” scegliendo, in base a criteri ulteriori ma compatibili con l’acronimo ESG (Enviromental, Social, Governace) i titoli azionari o le obbligazioni da inserire.
Com’è facilmente intuibile, e questo è un dato che interessa parecchio ai fondisti-partecipanti, i costi di gestione di un fondo attivo sono molto più alti di quelli di un fondo passivo. Ciò, sia chiaro, vale per qualsiasi tipo di fondo, quindi anche per quelli cosiddetti etici.
Conviene investire sui fondi etici?
Si guadagna molto con i fondi etici? In linea di massima, e stando al senso comune, potrebbero apparire come i “cugini meno ricchi” dei fondi comuni. Anche perché c’è il malcelato pregiudizio secondo cui il bene non paga. E invece alcune ricerche hanno dimostrato che non ci sono sostanziali differenze, da questo punto di vista, tra fondi comuni tradizionali e fondi etici. Anzi, se guardiamo a un preciso periodo storico, i fondi etici hanno reso persino di più. Il riferimento, in particolare, è al periodo più recente, quello della crisi e successivo alla crisi.
La ricerca più esimente da questo punto di vista è quella dell’Università di Tor Vergata, che ha indagato sul periodo 1992-2012. Proprio questa ricerca ha certificato che i fondi etici hanno performato meglio di quelli comuni.
Dati a sostegno di questa tesi derivano anche dallo studio dell’indice MSCI Word, che coinvolge le blue chip e le mid chip. Ebbene, quelle associabili alla sigla ESG, e occidentali (ripetiamo: Enviromental, Social, Governance) hanno fatto registrare una performance cumulata di 128,5. Nel frattempo, le analoghe “classiche”, quindi oggetto dei fondi comuni semplici, non etici, hanno fatto registrare “solo” 124,7. Se invece consideriamo le blue-mid chip di tutto il mondo, quindi anche dei paesi emergenti, la differenza arriva a nove punti.
Infine, va considerato il caso del fondo BlackRock BGF New Energy, impegnato nel settore delle energie alternative, che ha registrato un rendimento annuo medio del 25% per ben tre anni di fila. Certo una eccezionale, ma che rende l’idea di come i fondi etici possano essere davvero profittevoli.
Tipologie di fondi etici e affini
A ben vedere, il concetto di fondo etico è piuttosto “largo”. Si segnalano quindi svariate tipologie e affini.
Fondi etici classici. Essi possono rientrare nella categoria azionari, che offrono i rendimenti più alti ma che allo stesso tempo sono piuttosto rischio; obbligazionario, con rendimenti più bassi e rischio meno elevato; bilanciati. Insomma, la divisione è identica a quella dei fondi comuni.
Fondi pensione etici. Si comportano esattamente come i fondi pensione, ma gli investimenti vengono realizzati solo sulle aziende ESG. Si tratta di un modo “etico” di garantirsi una pensione integrativa.
Social bond. Non è proprio un fondo etico. Anzi, è una obbligazione in sé e per sé. Nello specifico, sono obbligazioni per le quali la banca si impegna di spendere parte del suo profitto per progetti di natura sociale, ambientale, generalmente no profit.
Green bond. Il concetto è identico a quello precedente. Non sono fondi ma obbligazioni, e nello specifico obbligazioni per cui la banca si impegna utilizzare parte del rendimento per finanziare progetti non sociali in senso stretto, bensì per lo sviluppo delle rinnovabili o l’efficienza energetica.
In questo panorama abbastanza complesso ed eterogeneo, ma nel quale si annidano importanti opportunità di profitto, si staglia Banca Etica. Essa fa parte del Gruppo Banca Popolare Etica ed è l’unico istituto a collocare solo ed esclusivamente “prodotti” di natura etica. Ad oggi, quindi, è il punto di riferimento per chi vuole investire in fondi etici o in obbligazioni “sostenibili” come Social Bond e Green Bond.
Nello specifico, si impone una selezione delle società emittenti secondo i criteri ESG. Non solo, oltre a proporre fondi etici organizza anche dei fondi di microfinanza e crowdfunding. In questi programmi, viene devoluto 1 euro ogni 1000 ad un fondo di garanzia per il microcredito.