Petro… Questo nome vi ricorda qualcosa? Se siete interessati alle criptovalute certamente sì. E’ la prima criptovaluta di Stato, il precursore di tutte quelle che verranno create in futuro, dal momento che per ora è… L’unica. Appartiene al Venezuela, che l’ha lanciata in pompa magna a dicembre del 2017.

A febbraio del 2018 è entrata in funzione, ma da allora si sono perse le sue tracce. Più che altro è sparita dai radar. Che fine ha fatto Petro? Alla fine, almeno in una prospettiva di politica ed economia interna, ha avuto successo? Ne parliamo in questo articolo.

Le premesse di Petro

All’epoca, l’annuncio di Petro fece scalpore. Era la prima volta che una criptovaluta veniva sviluppato da uno stato per le esigenze di uno stato. Lo scetticismo era tanto, la curiosità altrettanta.

Lo scetticismo era determinato dalle premesse su cui si poggiava il progetto Petro, premesse tutt’altro che implicite o nascoste. Il governo del Venezuela voleva creare una criptovaluta che riuscisse a superare i limiti del bolivar, la moneta corrente nazionale, in preda all’epoca (come oggi) a una svalutazione selvaggia, dunque quasi inservibile per gli scambi internazionali. Insomma, il Venezuela voleva una valuta, più che una criptovaluta, che potesse risolvere i problemi monetari del paese, soprattutto quelli causati dai difficili rapporti con l’estero.

Per donarle un po’ di stabilità, aveva deciso fin da subito di limitarne il mining (anzi, abolendolo del tutto) e soprattutto di legarne il valore alle riserve petrolifere del Venezuela, che poi sono le uniche vere ricchezze del paese.

Una scelta, questa, che fece storcere il naso agli esperti delle criptovalute, perché avrebbe reso Petro una valuta sì virtuale, ma tutt’altro che indipendente e decentralizzata. Nonostante lo scetticismo, il governo Madura tirò avanti, e portato alla luce Petro a febbraio 2020.

La storia di Petro

Di Petro, fino a qualche tempo fa, non si sapeva molto. Nemmeno sulla sua origine a dire il vero. A fare luce è stata una interessante inchiesta del New York Times, ripresa da Il Post. L’autore di questa inchiesta ha dichiarato di aver intervistato nientemeno che il creatore di Petro, il programmatore venezuelano Grabriel Jimenez.

Raccontare la storia di Petro vuol dire raccontare la storia – quella recente almeno – di Gabriel Jimenez.

Ad ogni modo, l’inchiesta del New York Times segnala Gabriel Jimenez come un programmatore che nei primi anni 2010 aveva iniziato a interessarsi delle criptovalute per approvvigionarsi presso una fonte di pagamento non soggetta a inflazione, soprattutto in occasione delle sue collaborazioni con l’estero. A quel tempo, Jimenez era a capo di una start up, la The Social Us.

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Ad un certo punto fu contattato da alcuni funzionari di stato del Venezuela che, avendo letto un articolo sulle criptovalute a sua firma, decisero che sì, era lui l’unico in grado di gestire un progetto crypto. Il governo di Maduro aveva infatti smesso di pensare alle valute virtuali come a una minaccia, e iniziato a considerarle come a uno strumento per superare i problemi monetari del paese, e sfuggire al “controllo” economico degli Stati Uniti.

Gabriel Jimenez accettò la proposta di creare una criptovaluta di stato del Venezuela. Tuttavia, dopo un iniziale periodo in cui venne lasciato libero di progettare e programmare, gli furono imposte delle scelte che, in cuor suo, giudicava come pericolose. Per esempio, la scelta di legare il valore di Petro alle riserve petrolifere, che avrebbe fatto saltare il principio di indipendenza. Allo stesso modo, la scelta di proibire il mining, che avrebbe messo in soffitta il principio di decentralizzato.

Gabriel Jimenez, almeno da quanto emerge nell’inchiesta del New York Times ripresa da Il Post, ormai non si poteva più tirare indietro, dunque continuò a lavorare.

La criptovaluta venne varata ma fin dai primi mesi dimostrò la sua debolezza. Avendo paura di essere utilizzato come capro espiatorio e di essere incriminato, scappò e si ricongiunse negli Stati Uniti, da suo padre.

Petro oggi

Lo potete evincere dalla storia raccontata fin qui, il progetto Petro non è andato bene. Non è decollato per niente. Di certo, però, ci sono poche cose. Per esempio, che gli Stati Uniti ne hanno vietato l’utilizzo, e che le agenzie di rating di criptovalute (che ovviamente non sono ufficiali) non la quotano in maniera positiva.

Visto il grado di incertezza, dobbiamo riferirci alle ricerche più recenti a riguardo, che sono appunto quelle del New York Times / Il Post, e quelle della testata di settore Cryptonomist.

Ebbene, nell’articolo de Il Post che riprende l’inchiesta del New York Times, il Petro viene considerato come un progetto mai decollato, che il governo ha più volte cercato di rilanciare, senza però riuscirci. Lo stesso articolo segnala che il Petro è ormai diventato una sorta di titolo di Stato, che viene impiegato come assegno per i pensionati.

Cryptonomist offre più dettagli. In primis dice che il governo Venezuelano da un lato lo sta imponendo, ma dall’altro sta facendo ben poco per diffonderlo presso la popolazione, a cui è ancora sconosciuto. Nello specifico, sta imponendo di pagare le tasse portuali in Petro, e anche i carburanti e i permessi per i voli internazionale. Inoltre, ha vietato lo scambio tra bolivar e Petro. In questo modo, chi ha comprato in passato Petro con i suoi risparmi in bolivar ha subito un danno, perché non li può spendere e non li può cambiare.

Perché Petro ha fallito?

La domanda a questo punto diventa quasi retorica. I motivi per cui il progetto Petro non è andato come si sperava sono principalmente due: il controllo da parte dello Stato e la mancanza di una vera politica di diffusione. Quest’ultima, tra l’altro, sarebbe dimostrato dal non-utilizzo da parte della popolazione.

Una criptovaluta è per definizione libera, indipendente e decentralizzata. Il Petro invece sembra imbrigliato in tanti legacci: non può essere scambiata con i bolivar, è legata a un sottostante fisico, è insomma controllata dallo Stato. Questo è ovvio: mina la fiducia degli investitori, semmai abbiano pensato a Petro come a una criptovaluta su cui puntare, alla stregua di tutte le altre. E la fiducia è importante per tutti gli asset, valute virtuali incluse.