Il Bitcoin, e in generale il mondo delle criptovalute, è in fermento. Segnali contrastanti giungono dal mercato e dall’esterno, le prospettive sono oggi più incerte che mai. Nell’immaginaria tira alla fune tra fiducia e sfiducia, però, sembra che stia prevalendo quest’ultima, almeno a giudicare dalle performance delle valute virtuali in questa seconda metà di Aprile. Ma procediamo con ordine.
Cosa sta accadendo nel mercato crypto
Il weekend del 16-18 aprile si è rivelato pessimo per il Bitcoin e per le altre criptovalute. La valuta virtuale più famosa del mondo, infatti, ha perso in una sola giornata circa l’11%, portandosi a 53.356 dollari (ovvero 44mila euro circa). Una discesa in sole 24 ore non si vedeva da almeno due mesi.
I numeri sono ancora più sconfortanti, se si pone come riferimento il massimo di sempre raggiunto solo qualche giorno prima, a 64.895 dollari. In questo caso, il calo è pari al 18%.
Discorso simile per Ethereum, che può essere considerata la seconda valuta virtuale più importante al mondo. In realtà, il trend in questo sta coinvolgendo, certo con gradi di intensità diversi, un po’ tutte le criptovalute.
Le solite cassandre stanno suonando le ennesime campane a morto, alcuni prospettano l’esplosione di una bolla finanziaria in piena regola. A prescindere dalle previsioni, che per il Bitcoin e Altcoin. lasciano il tempo che trovano, è bene ragionare sulle motivazioni di questo calo repentino. In realtà, il trend è facilmente interpretabile, dal momento che come al solito si è generato al di fuori del mercato, piuttosto che al suo interno.
La questione della regolamentazione
Il primo elemento da segnalare è dato dalle voci di corridoio circa una stretta da parte del Tesoro americano. Le istituzioni degli Stati Uniti da sempre ventilano il varo di normative più o meno severe sull’uso dei Bitcoin, e in quanto mezzo di pagamento e in quanto asset di investimento. Tuttavia, raramente si è andato oltre le professioni di scetticismo, alcune delle quali – c’è da dire – provenienti dalle più alte cariche dell’economia americana. Pensiamo per esempio alle recenti affermazioni del governatore della Federal Reserve Powell.
A quanto pare, queste voci di corridoio godono di maggiore sostanze rispetto a quelle passate, a tal punto da stimolare un abbandono delle posizioni da parte dei grossi investitori. Anche perché in questo caso le normative riguardano l’uso “più operativo” delle criptovalute, per giunta in una prospettiva di contrasto al riciclaggio. Il timore è che venga sacrificata la flessibilità sull’altare (comunque sacrosanto) della lotta al crimine.
Ad ogni modo, pare che il Tesoro USA stia avviando indagini su alcune istituzioni finanziarie più o meno importanti, le cui azioni potrebbero suggerire un tentativo di riciclaggio di denaro sporco.
La questione dei miner cinesi
Un’altra questione importante, e che potrebbe aver portato al calo di questi giorni, riguarda l’attività di mining, da sempre croce e delizia del Bitcoin. Ebbene, a quanto pare i miner cinesi stanno soffrendo di una serie di blackout, i quali avrebbero rallentato – e di molto – l’attività di “estrazione”, ovvero l’individuazione dei codici necessari a ottenere nuove unità di Bitcoin. Un meccanismo, questo, che secondo una dinamica di progressività garantisce l’immissione nel mercato di nuova valuta virtuale.
Secondo alcuni, dietro a questi blackout ci sarebbero le istituzioni cinesi, le quali non vedrebbero di buon occhio l’uso, all’interno dei confini della Repubblica Popolare, della criptovaluta.
Sullo sfondo, il radicale provvedimento della banca centrale turca, che ha sostanzialmente vietato le transazioni in criptovaluta, sia con altra valuta virtuale con con valuta fiat, nonché per l’acquisto di beni. Il motivo di questa misura draconiana andrebbe rintracciato, secondo le autorità turche, nella presenza di rischi significativi nell’uso delle criptovalute.
Coinbase e le prospettive del Bitcoin
Fin qui, solo segnali negativi. In alcuni casi, molto negativi. D’altronde, la questione della regolamentazione ha sempre preoccupato gli investitori, gelosi dell’indipendenza delle valute virtuali e delle libertà che esse stesse concedono ai loro utilizzatori. Gli interventi delle autorità, se escludiamo alcuni sporadici tentativi di repressione, si sono sempre mantenuti sul basso profilo. Fa specie, quindi, questa accelerazione, seppur ventilata.
Eppure il mese si era aperto in modo positivo per le criptovalute, in primis per il Bitcoin. D’altronde, il massimo di sempre è stato raggiunto proprio il 14 aprile. A questo traguardo se n’era aggiunto un altro, non meno importante: l’esordio di Coinbase in borsa. Coinbase, per chi non lo sapesse, è la piattaforma di Exchange più importante in assoluto, la prima a conquistare la ribalta e quella a tutt’oggi più frequentata.
La sua entrata in scena, il suo esordio in borsa, ha fatto scalpore. In un certo senso, ha lanciato un segnale di normalizzazione, di consacrazione delle criptovalute se non proprio nella veste di mezzo di pagamento, comunque di “dignitoso” asset di investimento.
Per inciso, le azioni di Coinbase erano partite a razzo, raggiungendo i 342 dollari il 16 aprile, per poi scendere nel giro di un paio di giorni sotto i 320. Ma tant’è, la stessa presenza di un simbolo del mondo crypto nell’olimpo della borsa mondiale è di per sé una notizia positiva.
Evidentemente, non è bastato a compensare i segnali negativi giunti dalle autorità americane, turche e cinesi. D’altronde, una dinamica simile si è verificata nel 2018. All’epoca, avevano fatto il proprio esordio i future del Bitcoin, un evento atteso in quanto segnale (il primo) di normalizzazione. A prescindere dall’andamento degli stessi future, che comunque è stato altalenante, il Bitcoin ha preso una strada diversa da quanto auspicato, percorrendo un trend discendente vertiginoso, dal carattere catastrofico.
A prescindere da tutti i ragionamenti sui segnali positivi e negativi, è veramente complicato anche solo stimare il futuro prossimo del Bitcoin e delle criptovalute. A pesare, gli elementi che più le caratterizzano: la decentralizzazione, l’assenza di un qualsivoglia legame con una specifica economia nazionale, l’assenza di un ente che possa regolarne l’offerta o, all’occorrenza, compensare le distorsioni.
In questo contesto, gli investitori non possono altro che mantenere un profilo prudente e monitorare i movimenti di prezzo, riservandosi i più ampi margini di azione.