Il Bitcoin è da sempre legato alle attività di mining. Queste sono fondamentali per immettere nel mercato nuova valuta. Anzi, sono l’unica fonte possibile di aumento dell’offerta. Il mining è salito alla ribalta insieme al Bitcoin, ponendo in essere alcune riflessioni sull’utilizzo di risorse. Infatti, per “minare” il Bitcoin sono necessarie potenze di calcolo straordinarie, che coinvolgono team nutriti e numerosi, e tantissimi computer.
Che le difficoltà di mining vadano progressivamente aumentando, non stupisce nessuno ed è nella natura delle cose, giacché il Bitcoin è pensato per “soffrire” di una graduale diminuzione dell’offerta. Tuttavia, di recente è scattato l’allarme. Tale aumento è più rapido del previsto, e ciò potrebbe cagionare delle distorsioni nel mercato.
Ecco cosa sta accadendo, e cosa potrebbe accadere lato prezzi.
Il rapporto di Glassnode
La questione ruota attorno all’ultimo rapporto di Glassnode.
Per inciso, Glassnode è una società di analisi e di ricerca specializzata soprattutto nel mondo delle blockchain. Dunque, si occupa regolarmente di Bitcoin e in particolare dei processi di mining, cercando di trarre evidenze utili per i “minatori” e gli investitori.
Ebbene, l’ultimo rapporto di Glassnode, relativo a i primi di novembre del 2021 segnala un aumento delle difficoltà di mining dell’8%. Attualmente, essa esprime un valore di 93,22 hash. Il tempio medio di risoluzione di un blocco è invece di dieci minuti.
L’aumento dell’8% porta le difficoltà di mining ai massimi da giugno 2021. Eppure questo scorcio d’autunno aveva fatto ben sperare, dal momento che all’inizio di ottobre le difficoltà di mining erano tornate ai livelli di maggio, ovvero antecedenti al divieto della Cina di mining all’interno del territorio nazionale.
Ciononostante, la redditività in termini finanziari delle attività di mining è in crescita, almeno rispetto a luglio. D’altronde, il prezzo del Bitcoin sta aumentando con una certa costante, nonostante le fisiologiche e proverbiali oscillazioni.
Le conseguenze per il mercato
Cosa cambia per gli investitori? Come impatteranno le crescenti difficoltà di mining sul prezzo del Bitcoin?
A livello teorico, verrebbe da pensare a una riduzione progressiva dell’offerta e quindi a un aumento deciso del prezzo. Una tendenza, questa, che potrebbe arrestarsi solo di fronte a una assoluta difficoltà di mining e quindi a un progressivo abbandono dei principali player.
In realtà, non è certo la prima volta che il Bitcoin è attraversato da una fase restrittiva, per quanto concerne le attività di mining. Anzi, in un certo senso è stato programmato per rendere il mining sempre più ostico, in modo da surrogare una politica di prezzo che, nei fatti, mancando un ente regolatore, non può esserci. Lo scopo è diminuire progressivamente l’offerta, e quindi sostenere il prezzo.
D’altrocanto, investitori e miner hanno attraversato periodi ben più complicati. Basti ricordare la svolta di giugno, quando la Cina ha di fatto bandito le attività di mining all’interno del proprio territorio nazionale. Una mossa, questa, giustificata dalla volontà del governo di frenare da un lato l’espansione delle criptovalute e dall’altro il consumo estremo di risorse.
E’ lecito dubitare, dunque, che il rapporto di Glassnode possa in qualche modo smuovere le acque. Anche perché il Bitcoin sta proseguendo per la sua strada, e quindi sta facendo riferimento a elementi di diverso tipo. Lo sguardo è rivolto principalmente a quanto bolle nella pentola di enti regolatori, istituzioni e governi.
Il prezzo del Bitcoin, più che a presunte difficoltà di mining, ha dimostrato di iper-reagire al cospetto anche solo di voci di corridoio, le quali suggeriscono ora un endorsement, ora una maggiore integrazione, ora il varo di regole molte stringenti.
Non c’è niente di cui stupirsi, il Bitcoin è in un periodo di transizione. Per molto tempo è stato considerato un asset troppo pericoloso per le persone comuni, e da poco è entrato nell’alveo degli asset da prendere in considerazione, capaci di vantare eguale dignità rispetto agli altri. Sta lottando, però, per imporsi anche come mezzo di pagamento, come valuta alternativa vera e propria, tra l’altro realizzando lo scopo per cui – almeno ufficialmente – è stato creato.
Un percorso accidentato, visti i tanti dilemmi di natura strutturale e politica. I problemi strutturali nascono dalle caratteristiche che fanno del Bitcoin un asset intrinsecamente volatile. Come tutti sanno, non ha alle spalle (né lo hanno le altre criptovalute) un ente anche solo paragonabile a una banca centrale, che sappia quindi curare le distorsioni.
I problemi politici, o per meglio dire di governance, nascono dalle riflessioni delle istituzioni, che stanno ancora cercando di capire se il Bitcoin in particolare e le criptovalute in generale, anche una volta mondate delle asperità strutturale, possano cagionare danni alla trasmissione monetaria.
Di certo, interessa lo scenario tecnologico aperto dalla diffusione delle criptovalute. La blockchain è una risorsa, la digitalizzazione delle valute lo è in prospettiva. Non stupiscono, quindi, le riflessioni che le stesse istituzioni stanno facendo circa l’opportunità di creare criptovalute statale, che possano trarre il meglio dalla tecnologia ma esprimere, in barba alle difficoltà del Bitcoin, una certa stabilità.