Il 2022 si preannuncia un anno come minimo particolare per le criptovalute, un anno di cambiamenti. Ciò è dovuto alla volontà delle istituzioni di regolare il fenomeno. Certo, negli anni passati si sono susseguite dichiarazioni più o meno perentorie che auspicavano un argine alla crescita incontrollata delle valute digitali, se non addirittura pesanti limitazione agli investimenti. 

Alla luce di quanto stiamo vedendo da qualche mese a questa parte, ovvero all’esplosione definitiva delle criptovalute e al crescente utilizzo da parte non solo dei trader ma anche di attori economici veri e propri, le istituzioni puntano a gestire la questione con maggiore equilibrio. Dunque sì alla regolamentazione, ma non in senso punitivo. O almeno è ciò che emerge in via tendenziale. Infatti, le istituzioni stanno andando un po’ in ordine sparso. Un coordinamento è per ora un miraggio. Non esattamente una buona notizia, se si considera che le criptovalute sono in assoluto tra gli asset meno legati a uno specifico territorio.

Di certo, non si possono ignorare i numeri strabilianti delle criptovalute, i quali non coinvolgono  parametri “da trader”, come i prezzi, bensì elementi che lasciano intuire la popolarità di questi asset. Giusto per citarne uno: nell’ultimo anno e mezzo l’impiego di valute digitali è aumentato del 2500%. Tale aumento si è concentrato in particolare nella primavera-estate del 2021. La tendenza, dunque, è più che positiva.

Di fronte a questi numeri, le istituzioni (quelle lungimiranti almeno) hanno tirato due conclusioni: uno, il mondo crypto molto banalmente non può essere soppresso; due, vista la partecipazione sempre più accorata da parte di persone comuni e attori economici, è bene regolare seriamente il fenomeno.

Cos’hanno in mente le autorità americane

Qualcosa di grosso bolle in pentola. Il riferimento è alle voci riportate da Bloomberg, che parlano nientemeno di un ordine esecutivo di Biden per la regolamentazione delle criptovalute. Non c’è niente di deciso, ma il presidente degli Stati Uniti starebbe seriamente valutando questa possibilità. Ovviamente, l’intervento sarebbe finalizzato a garantire agli investitori e agli utilizzatori una maggiore trasparenza.

In realtà, molti analisti reputano improbabile, per ora, un intervento a gamba tesa. E’ probabile, però, che il presidente incarichi organismi federali e agenzia di supervisionare le attività crypto per suggerire dei passi avanti circa le regolamentazione.

Ciò si inserisce in un contesto che ha già visto qualche novità: la US Bank ha inaugurato uno strumento per memorizzare e quindi tenere al sicuro le chiavi private per le varie versioni di Bitcoin e per Litecoin. Non è un servizio di poco conto. Certo, la US Bank non è la Federal Reserve e non è nemmeno un organo federale. E’ comunque la quinta banca commerciale degli Stati Uniti. Come minimo, un segnale che anche gli enti di prestigio hanno preso atto della popolarità delle criptovalute, e che è meglio fornire servizi per garantire la sicurezza piuttosto che reprimere o disincentivare il loro utilizzo. 

Le intenzioni delle autorità europee

L’Unione Europea si segnala per un certo attivismo sul fronte delle criptovalute. In primo luogo, lato tecnologia: la BCE ha organizzato un tavolo di lavoro per la creazione di una propria valuta digitale, dunque vi è la consapevolezza dell’importanza del concetto stesso di criptovaluta. 

Anche lato regolamentazione si muove qualcosa. La Commissione Europea vuole imporre regole chiare a tutte quelle società che vogliono fornire infrastrutture per il commercio di criptovalute. Innanzitutto, esse devono rispettare dei requisiti patrimoniali, dei requisiti sulla custodia dei beni e sulle procedure per i reclami

La Commissione Europea dovrebbe proporre anche una sorta di regime pilota, che consentirebbe ampie deroghe temporanee. Lo scopo è permettere alle autorità di raccogliere informazioni sull’applicazione concreta delle regole. Insomma, il canale di comunicazione con le società è comunque aperto.

Alla luce di ciò, acquisiscono decisamente senso le parole del vicepresidente dell’esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis, che ha dichiarato che la UE non vuole vietare o reprimere, ma regolamentare. 

E le economie emergenti?

La questione delle economie emergenti è molto spinosa.Alcuni stati propongono serie limitazioni alla movimentazione di criptovalute, come la Cina, la Mongolia, l’India, il Kazakistan, l’Indonesia e il Vietnam.  

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Altri stati puntano a limitazioni ancora più stringenti. Ciò è dovuto agli usi particolari che i cittadini fanno delle criptovalute. Spesso, per contrastare una inflazione galoppante e una rapida perdita del potere di acquisto, commerciano in criptovalute per cercare, tramite passaggi intermedi, di mettere mano su preziosa valuta estera. In teoria, è l’unico modo per aggirare le rigide norme delle autorità monetarie. 

Alcuni credono che i tentativi di regolamentazione di questi paesi siano anacronistici e destinati al fallimento. Di certo, si ravvisa una differenza radicale rispetto ai paesi avanzati, in cui si mira – come abbiamo visto – sì a una regolamentazione, ma in una prospettiva di integrazione con il sistema economico e con l’attuale corpus normativo. 

Va detto, comunque, che attualmente i divieti più stringenti sul fronte delle criptovalute si segnalano in Marocco, in Algeria, in Egitto, in Niger, in Paraguay. In Venezuela, dove l’inflazione è un problema drammatico, le limitazioni sono simili a quelle dell’Asia orientale. In Argentina, che vive problemi simili, le limitazioni sono blande o assenti.