Il mercato delle criptovalute, ormai è risaputo, è estremamente volatile. Alcuni giorni, però, sono più neri di altri e vengono percepiti come l’inizio della fine, anche se stando a queste “cassandre” il business delle valute virtuali dovrebbe essere già morto e sepolto da tempo.
L’ultimo crollo in ordine di tempo si è verificato nella prima settimana di settembre. Per capirci qualcosa, è necessario contestualizzare, e per contestualizzare è necessario considerare sia le cattive notizie che le buone notizie. Dunque, è bene analizzare i segnali positivi che comunque, a prescindere dai crolli, il mercato delle criptovalute sta lanciando agli investitori.
Settembre nero per le criptovalute?
A partire da giovedì 6 settembre, dopo un periodo di stabilità o, addirittura, di crescita (moderata, però) il mercato delle criptovalute è entrato in fibrillazione. Una ondata di vendite ha coinvolto quasi tutte le criptovalute, a partire dai capofila del mercato: Bitcoin ed Ethereum. In particolare Ethereum, criptovaluta giudicata più solida, per quanto meno redditizia, rispetto al rivale è crollata di fronte a quello che potrebbe ribattezzato il giovedì nero delle criptovalute.
I numeri parlano chiaro: tutte le valute virtuali hanno perso, come minimo, una cifra vicina al 10%. E tutto in meno di un’ora di contrattazioni. Sintomo, questo, che l’effetto panico fa presto a diffondersi tra gli investitori crypto, e genera effetti devastanti.
Paradossalmente, a riprova che non sempre (nel trading) il pesce puzza dalla testa, il Bitcoin non ha indossato stato affatto la maglia nera, anzi ha perso meno della maggior parte delle criptovalute.
Cosa ha causato questo crollo? Certamente, hanno inciso fattori tecnici, vendite che non originano da una sfiducia ma molto semplicemente dalla decisione unilaterale di liquidare gli investimenti da parte di hard trader. Ovviamente, anche le notizie provenienti dall’esterno hanno giocato un ruolo importante. Notizie, queste tipo “istituzionale” che si configurano come il vero grande market mover per le criptovalute.
A ridosso del crollo, per esempio, la SEC ha rifiutato per 9 ETF a base di criptovalute. Ancora lunedì, quando ormai la tempesta sembrava passata, e le maggiori valute tentavano un timido rintracciamento (secondo i propri standard) la stessa SEC ha sospeso gli ETF svedesi CXBTF e CETHF. Soprattutto, il crollo si spiega con la decisione della SEC (ancora lei) di sospendere il trading su exchange tutto sommato molto frequentati, come Bitcoin Tracker One ed Ether Tracker One. Gli investitori, specie quelli dell’ultima ora, hanno inteso lo stop come un segnale di pericolo in generale, e così è scattato il cosiddetto panic selling.
I segnali positivi per le criptovalute
Queste sono le cattive notizie, o almeno una parte di esse (forse la punta dell’iceberg). Per avere un’idea del periodo che le criptovalute stanno passando, e soprattutto delle prospettive future, è necessario prendere in considerazione anche altri aspetti, ovvero i segnali positivi che stanno per raggiungere o hanno già raggiunto gli investitori. Una curiosità interessante è la seguente: solo una parte di queste riguarda il Bitcoin. Segnale, questo, che il mercato è diventato maturo ed è in fase di stabilizzazione.
Nuovi prodotti per le criptovalute
Mentre la SEC, legittimamente, fa il suo mestiere e mostra il semaforo rosso a chi lo deve mostrare, alcune importanti realtà del mondo dell’investimento cercano di creare un nuovo clima di fiducia attorno alle criptovalute, progettando prodotti che consentano agli investitori di commerciare in modo sicuro e potenzialmente redditizio.
Tra queste spicca Citigroup. Stando ad alcune voci di corridoio, comunque autorevoli (tra cui la testata Business Insider) la multinazionale americana starebbe pensando a una serie di derivati a base di criptovalute. Prodotti, quindi, che consentano di fare trading senza possedere direttamente il bene. Si dovrebbe trattare di Security, in pieno stile ADR (American Depositary Receipts). Si dovrebbe chiamare, però, DAR, Digital Asset Receipts).
Per inciso, nelle ADR l’asset è detenuto dalla banca, che emette la ricevuta di deposito. Nel caso delle DAR, la criptovaluta è detenuta da un custode, ovvero da una persona fisica all’interno di un conto a parte, mentre la ricevuta (telematica, si pensa) viene emessa direttamente da Citigroup.
Le notizie certe, o quasi certe, si fermano per ora qui. Citigroup non ha rilasciato dichiarazioni. Non ha nemmeno smentito, però. Dunque, è probabile che nelle speculazioni riportate da Business Insider ci sia ben più che un fondo di verità.
Le previsioni di CoinBase
Coinbase è uno dei più importanti exchange di criptovalute in circolazione. Forse, il più importante in assoluto. Anche perché supera tutti gli altri in termini di utenza e consente, con commissioni spesso agevoli, lo scambio diretto tra valute fiat (quelle tradizionali come dollaro, euro etc.) e criptovalute. Dietro Coinbase c’è una società solida, che è riuscita, grazie a un modello di business / management equilibrato e profittevole, a diventare un punto di riferimento nel mondo delle criptovalute. La società è nota anche per la sua prudenza, sicché quando spuntano dichiarazioni, previsioni e stime si può stare certi circa la loro autorevolezza.
Anche se le previsioni sono estremamente positive. Il riferimento è alle dichiarazioni di Brian Armstrong, CEO della società. Il loro contenuto è esplosivo: secondo l’amministratore delegato, il numero delle persone coinvolte nell’ecosistema criptovalute salirà a un miliardo nei prossimi cinque anni. Ovviamente, non si riferisce solo agli investitori, ai possessori di criptovalute, ma anche agli sviluppatori, ai professionisti che dovranno gestire i portfolio dei bitcoin etc. Questa stima è determinata da un ragionamento logico: se è vero che molte aziende stanno pensando di sviluppare bitcoin, o di trasferire parte dei loro affari nel sistema delle blockchain, se il numero di queste aziende cresce, cresce anche il numero delle persone coinvolte.
L’opinione di Buterin
Vitalik Buterin è una delle personalità più importanti del mondo crypto. E’ infatti il creatore di Ethereum. Il suo contributo non si è fermato allo sviluppo della celebre criptovaluta, ma si è estesa anche alla sfera politica: non di rado, infatti, ha interloquito con le istituzioni, perorando la causa del sistema crypto. Dunque, stiamo parlando di una fonte autorevolissima, le cui previsioni vanno prese attentamente in considerazione.
Ebbene, le sue ultime dichiarazioni hanno una doppia coloritura, sia positiva che negativa. Ha dichiarato, in estrema sintesi, che è finita l’epoca degli aumenti percentuali a tre o quattro cifre, come se ne sono visti negli anni passati. Una notizia cattiva? Non necessariamente. Il corollario di questo assunto, infatti, è positivo: se è vero che le criptovaluta non spiccheranno più voli pindarici, ciò significa che andranno incontro a una crescente stabilizzazione. Insomma, in futuro, si spera prossimo e non remoto, le criptovalute andranno incontro a una definitiva normalizzazione. Ciò farà bene al comparto, in quanto la normalizzazione è la conditio sine qua non per una accettazione di tipo istituzionale.
Il caso cinese
Il caso cinese è molto strano. Ufficialmente, in Cina si sta assistendo a una vera e propria offensiva del governo per contrastare la diffusione delle criptovalute. Da qualche tempo, ormai, fare trading di criptovalute in Cina è vietato. Sul tavolo, questioni annose – ma altrove trattate con minore rudezza – come l’estrema volatilità dell’asset, il rischio di perdere il proprio capitale etc. I maligni pensano che dietro questa offensiva non vi sia solo la (legittima e sacrosanta) volontà di tutelare i risparmiatori cinesi, ma anche la volontà di sgomberare il campo in vista di una criptovaluta “di stato”. L’interesse cinese per la tecnologia delle blockchain, infatti, è risaputo.
Registrata questa contraddizione, va specificato però un punto: i cinesi non mollano. La voglia di criptovaluta è fortissima in Cina. Solo qualche giorno fa, i primi di settembre, le autorità di Pechino hanno chiuso ben 124 exchange off-shore, ovvero in grado di servire i trader cinesi ma registrati oltre i confini nazionali. Sintomo che vi è la volontà di aggirare il divieto, determinata – appunto – da una domanda in crescita.
Lo scontro tra gli appassionati delle criptovalute e le autorità, però, è sintomo di una dinamica ancora più grande: i prezzi potranno pure crollare, ma la domanda di criptovalute è in crescita. Soprattutto, dov’è in crescita, non vi è tentativo di repressione che tenga.
La nascita di nuove criptovalute
Nonostante i crolli, nonostante le cassandre che a settimane alterne annunciano la fine delle criptovalute e l’esplosione di una bolla in stile tulipani del Seicento, la crescita del mercato non si ferma. Non tanto in termine di capitalizzazione, che pure rappresenta un parametro importante, quanto in termini partecipazione. Insomma, a prescindere da quanto accade in sede di contrattazione, emergono sempre nuove criptovalute. Quel che fa ben sperare, è la tendenza delle nuove criptovalute a legarsi con il mondo reale. Segno, questo, di una solidità rinnovata, forse addirittura in crescita.
Uno dei filoni che sta trovando più spazio, e che sta salendo alla ribalta (tanto per gli analisti quanto per gli investitori) è quello delle criptovalute etiche. Ovvero, quelle legate alle attività di promozione di stili di vita salutari, o incentrate sulle iniziative per il rispetto dell’ambiente. Tra queste spicca VeganNation, criptovaluta il cui scopo è foraggiare un sistema economico ben circoscritto, offrendo un servizio di assistenza tanto ai fruitori del cibo vegano quanto ai produttori, in una prospettiva che tende al chilometro zero.
La cristallizzazione dei market mover
Com’è noto, le criptovalute non hanno market mover stabili. Anzi, il loro successo, almeno inizialmente, si è fondato proprio sul concetto di indipendenza, che si traduce in una dinamica molto particolare, avulsa a qualsiasi asset in circolazione: i prezzi vengono fatti dal mercato e solo dal mercato. Questa verità è in realtà una mezza verità. E’ vero che non esistono market mover “fissi”, è vero che le criptovalute sono indipendenti da un potere centrale. Tuttavia, è anche vero che le criptovalute risentono di ciò che accade all’esterno, dall’ambiente economico, politico etc. Da questo punto di vista, possono essere assimilate agli asset tradizionali.
Lo si è visto nell’ultimo anno. I crolli delle criptovalute che si sono succeduti negli ultimi dodici mesi non si sono verificati per caso, o per le manovre oscure di qualche grosso investitori. Sono stati bensì la risposta a specifici avvenimenti esterni al mercato. Ora, questi eventi hanno più o meno tutti lo stesso segno e le stesse caratteristiche, dunque – non senza una piccola forzatura semantica – possono essere considerati come dei market mover. Il riferimento è in particolare alle dichiarazione e alle iniziative concrete delle autorità di controllo e delle istituzioni. Questo è un bene o un male? Nell’immediato è un male, in quanto genera potenzialmente dei crolli molto vistosi. A lungo andare è un bene, in quanto crea attorno al mondo crypto un terreno per una analisi fondamentale degna di questo nome.