La Fed ha alzato ancora i tassi. In occasione della riunione del 27 luglio ha aumentato il costo del denaro di un ulteriore 0,75%. Fin qui, l’incremento più corposo da quanto il massimo istituto finanziario americano ha intrapreso il nuovo corso di politica monetaria. 

Niente di sorprendente. Anzi, l’aumento era stato ampiamente preannunciato e quindi non ha scosso più di tanto il mercato. Tuttavia, molti stanno intraprendendo un percorso di riflessione circa il futuro della politica monetaria della Fed. Che la stretta monetaria continui, è evidente a tutti. Tuttavia, vi è incertezza su alcuni aspetti. Quanto durerà la politica monetaria restrittiva? Fin dove si spingerà? Questi sono i quesiti sul tavolo. Proviamo a rispondere. 

L’estate tranquilla della Fed

Nel più recente passato, le riunioni della Federal Reserve e soprattutto le conferenze stampa a seguire, hanno fornito l’occasione per ragionamenti, stime e indicazioni circa il futuro dell’economia americana e globale. Il governatore Powell raramente si è tirato indietro e anzi ha offerto spesso orientamenti interessanti, che hanno funto da termine di paragone per gli investitori. 

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A riguardo, la conferenza stampa del 27 luglio 2022 ha segnato un punto di rottura, o almeno una piccola deviazione rispetto all’approccio tenuto fino a quel momento. Infatti, Powell ha tenuto un profilo basso, limitandosi a comunicare le decisioni della banca centrale. Non ha fornito previsioni circa le mosse future, o almeno aggiornamenti a riguardo. 

Ciò che si attendeva, che era stato preannunciato, si è avverato. Dunque, è probabile che la banca centrale prosegua per il sentiero già tracciato. 

Secondo alcuni esperti, come Pierluigi Gerbino di Trendonline.com, si dovrebbe giungere entro fine anno al 3,25-3,50%.

Sempre secondo Gerbino, Powell nella sua ultima conferenza non ha mostrato alcun segnale di “aggressività”, dove con questo termine si intende, ovviamente, un inasprimento della politica monetaria. Da qui, la considerazione che l’aumento dello 0,75% sia il limite oltre il quale la Fed molto difficilmente si sporgerà. Anzi, cita addirittura le previsioni del mercato dei futures, che si attende aumenti ben più contenuti per le ultime due deliberazioni. Per la precisione, 0,50% a settembre e 0,25% a novembre/dicembre

Il contesto economico americano

Questo scenario tutto sommato “calmo” o comunque previsto è suscettibile di cambiamenti? È possibile che la Fed inasprisca ulteriormente la politica monetaria o, di contro, proceda con un arretramento? Se lo chiedono gli investitori, soprattutto quelli il cui portafoglio è suscettibile – più di altri – dei cambiamenti di indirizzo delle banche centrali. 

Per rispondere a questa domanda, è necessario fare il punto sul contesto americano, facendo riferimento non solo all’inflazione ma anche alle prestazioni dell’economia reale. La Fed, infatti, ha sempre mantenuto un profilo ben più interventista rispetto ai colleghi illustri, su tutti quelli della BCE (benché negli ultimi anni la Banca Centrale Europea abbia adottato un approccio diverso e più “americano”). 

Partiamo dall’inflazione. Beh, da questo punto di vista, le cose non vanno esattamente bene. A giugno, anno su anno, si è registrata una inflazione pari al 9,1%, che è il massimo dal 1981. Un dettaglio non da poco se si considera che a una inflazione elevata, e soprattutto in crescita, non si può che rispondere con un incremento dei tassi.

Se si guarda al Prodotto Interno Lordo, le notizie sono se possibile ancora peggiori. Nel secondo trimestre 2022 il PIL americano ha fatto segnare un sorprendente -0,9% (le previsioni lo davano al +0,4%). Dunque, gli States sono ufficialmente in recessione tecnica, giacché anche il primo trimestre aveva fatto segnare un rallentamento. 

Anche la produzione industriale boccheggia, in quanto ha fatto segnare un deprimente – ma non catastrofico, -0,2% a livello mensile. I dati del lavoro, invece, sono stabili, almeno per quanto concerne l’occupazione e i JOLTS. 

Gli scenari di politica monetaria

Cosa si può dedurre da questi dati? Ovviamente, che l’economia americana è in discreta difficoltà. Inaspettatamente, più in difficoltà rispetto all’Europa, che dal canto suo sta affrontando una guerra.

Quale impatto eserciterà tutto ciò sulla politica monetaria della Fed? Tutto dipende da come si evolverà la situazione. È ovvio: qualora gli USA precipitassero in una recessione sostanziale e grave, il massimo istituto finanziario americano potrebbe ritoccare la politica monetaria. Il rischio che addirittura si registri un dietrofront sarebbe, a quel punto, abbastanza concreto. Si prospetterebbe comunque una decisione ardua, ovvero quella tra inflazione e recessione. D’altronde, le meccaniche della staglazione sono simili a quelle delle sabbie mobili, e producono dinamiche lose-lose.

Se invece questi dati disegnassero semplicemente un incidente di percorso, un attimo di sbandamento per l’economia americana, la politica monetaria potrebbe rimanere esattamente così com’è: restrittiva, ma tutto sommato equilibrata. Dal canto suo, Powell non ha parlato di recessione. Avrebbe potuto dedicare all’argomento qualche passaggio dell’ultima conferenza stampa, ma ha optato per un approccio di basso profilo, prudente, attendista. 

Non rimane che stare alla porta e attendere i dati dei prossimi mesi. Anche perché da essi dipende una porzione sostanziosa delle speranze di crescita dell’Europa, che sta vivendo un periodo tutto sommato simile, con le dovute differenza tra stato e stato.