La crisi sanitaria scatenata dal coronavirus sta sfociando in crisi economica, anzi per molti paesi già è diventata tale. Certamente, i mesi che verranno saranno duri, da molti punti di vista. Sicché non solo i governi nazionali ma anche la banche centrali stanno intervenendo, come minimo per limitare i danni e favorire, già adesso, la ripresa, una volta che la crisi sarà finita.

In questo articolo parliamo proprio delle misure delle banche centrali, e nello specifico della BCE e della Fed. Descriveremo quello che hanno fatto e quello che intendono fare, cercheremo di prevedere gli impatti sull’economia.

La situazione a metà marzo 2020

Prima di analizzare le misure delle banche centrali per far fronte alla crisi economica scatenata dall’emergenza sanitaria, un rapido recap della situazione attuale (a metà marzo 2020). La Cina ha quasi debellato il virus e sta gradualmente dismettendo la quarantena e pensando alla ricostruzione. In Italia, come sicuramente ciascuno di voi saprà, l’emergenza è entrata nel suo vivo, con la serrata di quasi tutte le attività produttive e commerciali, misura necessaria ma che certamente farà perdere svariati punti di PIL.

Gli altri paesi, invece, si dividono tra un atteggiamento parzialmente negazionista, come gli Stati Uniti, e un atteggiamento ritardatario, come la Francia, che ancora non ha adottato contromisure forti come quella italiana. Eppure, i casi nel resto d’Europa si contano a migliaia.

Che il virus si diffonderà ampiamente in tutto il mondo, magari con numeri simili all’Italia, ci sono pochi dubbi. Come ci sono pochi dubbi sul fatto che ciò causerà una crisi economica generalizzata. Da qui, la decisione delle banche centrali di intervenire.

Le contromosse della Fed

La Federal Reserve è pronta a fare sul serio e a iniettare nel sistema economico ben 1500 miliardi, per giunta a stretto giro. Misure, queste, che ricordano quelle messe in campo ai tempi della crisi del 2008, che – è bene ricordarlo – è stata la più dura dal 1929.

Ciò che colpisce, almeno fin qui, dell’intervento della Fed è la terminologia impiegata, le parole utilizzate per giustificare questo intervento corposo. Nella nota che annuncia queste misure si parla, infatti, di “highly unusual disruption”, ovvero scompensi estremamente insoliti. Un lessico, questo, che cozza i toni moderati utilizzati fin qui dall’amministrazione Powell.

L’iniezione di liquidità da parte della Fed non è il primo intervento volto a mitigare gli effetti della crisi economico-sanitaria. A fine febbraio, infatti, la banca centrale americana aveva tagliato i tassi di un quarto di punto, per quanto – almeno ufficialmente – la politica fosse quella di un aumento lento dei tassi dopo la “scorpacciata” post crisi del 2008. Una mossa, questa, giudicata poco incisiva dal presidente Trump ma che va vista allo scenario di fine febbraio, quando il coronavirus poteva sembrare ancora un problema riguardante la Cina e l’Italia, tutt’al più un pezzo d’Europa.

Le contromosse della BCE

La Banca Centrale Europa si trova a dover affrontare un problema arduo, ovvero la gestione monetaria di una crisi che ha la sua avanguardia proprio nell’Europa, e nello specifico il cuore dell’eurozona: Italia, ovviamente, ma anche Germania e Francia.

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La governatrice Lagarde ha dimostrato fin da subito di voler basare la sua amministrazione su quanto seminato precedentemente da Mario Draghi, annunciando già due mesi fa di voler proseguire con un blando Quantitative Easing e con i tassi a zero fino a quando l’inflazione non avesse raggiunto i livelli sperati. In molti si attendevano un intervento da parte sua, da quando l’epidemia ha iniziato a diffondersi in Europea. Intervento che forse ha tardato un po’ ad arrivare, ma che alla fine c’è stato.

Ebbene, nella giornata del 12 marzo 2020 Lagarde ha dichiarato che i tassi rimarranno invariati per tutto il tempo necessario. In più, ha ampliato il Quantitative Easing portandolo a 120 miliardi per tutto il 2020.

Misure, queste che avrebbero dovuto sortire degli effetti sui mercati. Tuttavia, qualcosa è andato storto. Quella del 12 marzo è stata una delle giornate più nere della storia delle borse europee, in particolare per l’Italia. Milano ha perso qualcosa come il 17%.

Il motivo di questa debacle, in un giorno che ha visto un allentamento ulteriore della politica monetaria, è facilmente rintracciabile. A non convincere, infatti, sono state le dichiarazioni di Lagarde, più che i suoi provvedimenti. Ha infatti affermato che lo spread non è affare della BCE. Parole, queste, che hanno restituito un senso di insicurezza, laddove Maro Draghi avrebbe certamente utilizzato toni rassicuranti, e che in generale cozzano con il celebre “Whatever It Takes” di draghiana memoria.

L’impatto sui mercati

Quale sarà l’impatto sui mercati di queste misure? Forse la domanda è mal posta. Forse la domanda più corretta sarebbe: “i mercati sono gestibili in questa fase?”. Il mondo sta vivendo una crisi inedita, la sua prima pandemia in un contesto globalizzato. Le pandemie non durano tantissimo, si sa, sono shock temporanei, ma possono causare parecchi danni. Nessuno sa cosa accadrà tra l’inizio e la fine della crisi, e questo spaventa tutti gli investitori. Ecco che gli strumenti ordinari potrebbero non funzionare in un contesto straordinario.

Dunque, prevedere l’impatto sui mercati è semplicemente impossibile. Una cosa è certa: se l’effetto delle nuove politiche espansive potrebbe essere lieve, l’effetto di una eventuale inazione non potrà che essere negativo.

La ripresa economica, il mantenimento dei paradigmi finanziari, la stabilità (almeno formale) dei mercati dipenderanno da molti fattori, non ultimo il comportamento della banche centrali. Dunque il consiglio è di seguire, con più attenzione che mai, l’evolversi della situazione a livello economico, politico, sociale e – purtroppo – sanitario.