In televisione e sui giornali si fa un gran parlare dell’autunno caldo, prospettandolo non solo come un pericolo per l’economia in generale ma anche per l’euro dollaro. In effetti, gli ultimi mesi del 2018 si preannunciano come movimentati, ricche di sfida che, se perde, potrebbero concretizzare scenari pessimi tanto per l’economia quanto per la finanza. Ciò vale in primo luogo per l’Europa, con l’Italia in testa, ma anche per gli Stati Uniti.

In questo articolo affrontiamo l’argomento a trecentosessanta gradi, a partire da una descrizione dei fattori di rischio, fino a ipotizzare i tre scenari più probabili.

Autunno caldo per il Forex Trading e l’economia: i fattori di rischio

C’è un motivo perché, almeno dai media italiani, è stato ribattezzato “autunno caldo”. Una definizione, tra l’altro, che mette d’accordo tutti. Politici e analisti di ogni colore ed estrazione sono concordi nel rappresentare gli ultimi mesi di quest’anno come ricchi di pericoli. Eccoli riassunti e descritti nella maniera più chiara possibile.

Analisi e giudizio delle manovre economiche da parte della Commissione Europea

Sia chiaro, niente di nuovo sotto il sole. E’ da decenni che i governi nazionali sono tenuti a inviare alla Commissione Europea le proprie leggi di stabilità (ex leggi finanziarie) prima di procedere con l’approvazione nei rispettivi parlamenti. Ed è sempre da decenni che la Commissione Europea esprime un giudizio, dal quale sporadicamente – e se si verificano le condizioni – vengono organizzati processi sanzionatori. Come tutti sanno, la UE tiene a far rispettare le regole di bilancio.

La particolarità di quest’anno risiede nella volontà, in questo momento più diffusa che in passato, di fare di testa propria. Alcuni governi sono intenzionati a violare gli accordi, e a sostenere le rispettive riprese economiche con investimenti a deficit. Ad oggi (inizio ottobre) hanno manifestato questa volontà sia la Francia che l’Italia. In particolare su quest’ultima si stanno accentrato gli interrogativi più pesanti. Il sistema italiano reggerà? La fonte maggiore di preoccupazione è lo spread, l’indicatore principe degli interessi sul debito.

Certo, il meccanismo non è un automatico ma dalle reazioni dell’UE dipenderanno le reazioni dei mercati. E dalle reazioni dei mercati dipenderanno le pressioni sull’economia italiana. Un po’ come nel domino, come si è visto peraltro in questi giorno, le crisi locali determinano le performance dell’euro, e in particolare dell’euro contro il dollaro.

Deliberazioni delle agenzie di rating

Il giudizio della Commissione Europea inciderà sicuramente, ma comunque meno rispetto alle deliberazioni delle agenzie di rating. Sono loro il vero spauracchio per le economie nazionali, e nello specifico per le economie nazionali costrette a pagare elevati interessi sul debito. Non è solo una questione di influenza: l’autorità che caratterizza le agenzie di rating (secondo alcuni da mettere in discussione, visti gli errori pre-crisi del 2007) c’entra fino a un certo punto. Il problema risiede nel fatto che le policy di alcuni grandi investitori dipendono dai giudizi delle agenzie di rating. Dunque, se un debito viene declassato come rischioso, quel debito rischia seriamente di rimanere scoperto, causando crisi economiche-finanziarie.

Ora, in pieno autunno giungeranno le nuove deliberazioni delle agenzie di rating, e queste si incroceranno con il nuovo corso francese e italiano. Dunque, c’è molta curiosità e anche una punta di paura su quanto possa accadere, soprattutto in Italia. Il debito italiano ha un rating medio, per adesso, ma potrebbe scendere nel giro di poco tempo. E’ bene ricordare che un debito con rating D, viene definito “junk”, spazzatura, ed è praticamente inservibile. Anche un debito C ma con outlook negativo, visto che gli investitori in questo campo si muovono come minimo nel medio termine, rischia di fare la stessa fine.

Fine del Quantitative Easing

Intorno alla fine del Quantitative Easing si è innescato un dibattito molto complesso. Anche perché, almeno in parte, l’aspetto imprevedibilità qui viene meno. Di incognite, dal punto di vista tecnico, non ce ne sono. Il presidente della BCE Mario Draghi si è sempre guardato dal determinare reazioni scomposte nei mercati, quindi ha ragguagliato delle sue iniziative con notevole anticipo gli analisti, investitori e interessati. E’ da anni che si conosce l’orizzonte temporale del Quantitative Easing, ed è da parecchi mesi che si conosce esattamente il programma di tapering, ovvero il piano con il quale l’acquisto del debito verrà ridotto fino a scomparire.

L’incertezza riguarda un altro aspetto, ben più imprevedibile. La domanda che tutti si pongono: come reagiranno le economie alla fine del Quantitative Easing? Il timore è che, una volta chiuso l’ombrello, dunque terminata la garanzia della banca centrale, gli interessi possano schizzare. Ora, se ciò accade in Germania e Francia, niente di cui preoccuparsi. Se accade in Italia, considerando anche la rotta di collisione che l’attuale governo sta prendendo con l’UE, i problemi potrebbero essere potenzialmente devastanti.

Di nuovo, a farne le spese potrebbe essere l’euro, che certamente di fronte a una crisi economica diffusa e soprattutto a una crisi finanziaria vedrebbe le sue quotazioni scendere. Ad oggi, però, in un clima molto acceso dal punto di vista politico (secondo alcuni ideologico) è difficile scindere i legittimi timori dall’allarmismo strumentale.

Possibile inasprimento della guerra dei dazi

Questo è la sfida più imprevedibile di tutti. Poiché imprevedibile è, in un certo senso, l’artefice di questa guerra, ovvero il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. La strada, comunque, sembra tracciata: forte regolamentazione delle merci in entrata per proteggere l’economia americana. Tutto ciò, sia chiaro, dal punto di vista teorico. Nella realtà, i propositi di Trump si scontrano con le possibili ritorsioni dall’estero, in particolare dalla Cina e dall’Unione Europa. L’idea è che l’amministrazione americana sappia che si può muovere solo al di qua della linea che separa una iniziativa profittevole da una dinamica controproducente.

Il problema è che, logicamente, nessuno sa dove sia questa linea. Nessuno sa dove si possono spingere gli Stati Uniti senza causa disordini a livello mondiale, e innescare una spirale di crisi intercontinentale. Il rischio di fare il passo più lungo della gamba c’è. Cosa succederà in quel caso? Anche su questo punto aleggia il mistero. E’ possibile comunque fare le ipotesi. Un punto fermo c’è: se la guerra si inasprisce, e in particolare se il fronte con l’Europa si surriscalda, il cambio euro dollaro ne risentirà parecchio.

Euro dollaro: lo scenario migliore

Partiamo dall’ipotesi più felice, ovvero quella secondo cui l’autunno caldo sarà meno caldo del previsto, e che alla fine tutto scorra liscio, o quasi: l’UE non apre contenziosi, le agenzie di rating danno giudizi buoni o comunque invariati, la guerra commerciale segna una interruzione, il QE muore senza lasciare strascichi. Uno scenario, sia chiaro, a detta di molti analisti plausibile ma non probabilissimo.

Ad ogni modo, cosa succederebbe all’euro dollaro in questo caso? Semplice, andrebbe per inerzia. Ovvero, verrebbe influenzato solo dalla forza delle rispettive economie. In questo scenario si può ipotizzare una crescita USA ai ritmi attuali, quindi sostenuti, e una crescita europea a ritmi medio-moderati. Dunque, sarebbe lecito aspettarsi un euro dollaro stabile o in leggero trend discendente. In ogni caso, tra 1.16 e 1.22.

Quanto è probabile questo scenario? Nessuno ha la palla di vetro, però è possibile comunque fare una riflessione. E’ certamente possibile che alla fine l’UE faccia orecchie da mercante ai falchi, e che quindi si limiti a fare dichiarazioni sanzionatore, abbandonando però l’idea di sanzioni vere e proprie. Logico, se si pensa che gettare benzina sul fuoco alla vigilia delle elezioni europee non fa bene a nessuno. E’ lecito anche pensare alla calma piatta nel fronte dazi, e quindi di un ritorno di Trump a più miti consigli. E’ però meno probabile che le agenzie di rating e i mercati in generale rimangano immobili di fronte a un indebitamento elevato e alla fine del QE.

Euro dollaro: lo scenario medio

E’ forse lo scenario più probabile. Ricapitolando: l’autunno caldo si gioca su tre fronti: europa, Stati Uniti, mercati (e agenzie di rating). In questa ipotesi, a surriscaldarsi sono due fronti su tre.

Se si surriscaldano il fronte americano e quello UE, significa che la guerra dei dazi avrà innescato una spirale di crisi economica, sottolineata dalle iniziative sanzionatorie della commissione.

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Se si surriscaldano il fronte dei mercati e quello UE, significa che, oltre alle sanzioni, sarà arrivato il tanto temuto “giudizio negativo”, magari sotto forma di downgrade.

C’è una terza alternativa, ovvero quella in cui tutti e tre i fronti si attivano, ma con un livello di intensità medio basso. A dire il vero, è questa l’alternativa più probabile.

Nel primo caso, l’euro dollaro diventerebbe imprevedibile, anche perché il contesto sarebbe quello di una guerra delle valute – necessaria in presenza di dazi restrittivi – esacerbate dalle crisi diplomatiche.

Nel secondo caso la crisi sarebbe innanzitutto europea, con l’Italia portabandiera di un nuovo corso di instabilità e recessione, con gli Stati Uniti in una situazione di calma, magari relativa. E’ lecito pensare che, stando a queste condizioni, l’euro dollaro scenderebbe, e di parecchio.

Nel terzo caso, i problemi si svilupperebbero a livello macro e microeconomico, senza influenzare in maniera eccessiva le valute. Euro e dollaro andrebbero di pari passo. Interessante sarebbe giudicare le valute in relazione alle altre.

Questi tre sotto-scenari sono probabili? Non è dato saperlo, ma la sensazione è che lo siano. Soprattutto il terzo. Anche perché i fronti tutti e tre sul punto di esplodere, o almeno di surriscaldarsi.

Euro dollaro: lo scenario peggiore

Per fortuna, questo scenario non è tra i più probabili. Ma immaginiamo che i debito europei diventino insostenibili e mettano a rischio la stessa tenuta dell’Unione Europea. Immaginiamo downgrade delle agenzie di rating e panic selling ripetuti. Immaginiamo che a fronte di questa nuova crisi europea gli Stati Uniti non sappiano rispondere con un aumento delle esportazioni, in quanto oggetto di controsanzioni. Insomma, immaginiamo che tutto vada a male.

Anche in questo caso, l’imprevedibilità regnerebbe sovrana. E non tanto per una incipiente, nuova, guerra di valute, quanto per l’incertezza degli investitori. Comunque, sarebbe più probabile una pesante svalutazione dell’euro. Questo per due motivi: in primo luogo, perché l’economia degli Stati Uniti, anche in caso di contagio, performerebbe molto meglio di quella europea. Secondariamente, perché la Federal Reserve non può permettersi, anche in un periodo di crisi, di promuovere un altro programma di QE sulla falsariga di quello del 2008.

Non rimane che auspicare che questo scenario non si realizzi. Che tutto finisca malissimo, comunque, è improbabile. Anche perché i governi sono consci del pericolo e, a meno di eventi traumatici e imprevisti, farebbero di tutto per evitare una deriva così pesante e catastrofica.