Il Carry Trade non è propriamente una strategia, bensì un approccio. Se condotto in una certa maniera, può risultare molto redditizio. Per padroneggiarlo, tuttavia, è necessaria molta esperienza, capacità interpretative fuori dal comune, conoscenza delle dinamiche economiche.
Il Carry Trade in pillole
Ad ogni modo, per Carry Trade si intende quell’approccio che sfrutta la differenza tra i vari tassi di interesse. In estrema sintesi, il “Carry trader” prende a prestito del denaro nei mercati in cui il costo è inferiore, e quindi i tassi sono inferiori, e lo investe nei mercati in cui i tassi sono superiori. Il guadagno è dato proprio dalla differenza tra i vari tassi.
Può sembrare un’operazione sui generis, non etica, eppure non è per nulla nuova e anzi, in certi ambiti, è persino abusata. Si sono “macchiati” di Carry Trade, per esempio, le banche commerciali durante la crisi del debito. Hanno preso in prestito denaro a buon mercato e lo hanno investito laddove i rendimenti erano più alti. Nello specifico, hanno beneficiato del programma LTRO (finanziamento Bce-banche commerciali a costo zero) e hanno acquistato titoli di stato spagnoli e italiani, che all’epoca – proprio a causa della crisi – rendevano in media il 7%. Questo fenomeno si è ripetuto così tante volte che la Banca Centrale Europea si è vista costretta a modificare le regole dell’LTRO, vincolando le banche a concedere prestiti “retail”, quindi alle imprese e alle famiglie.
Carry Trade versione retail
Una volta appurata la redditività del Carry Trade, si può discutere della possibilità, da parte dei trader “normali” di utilizzarlo. Il piccolo investitore può fare Carry Trade? La risposta è sì, ma, come accennato all’inizio dell’articolo è molto pericoloso. E’ necessario, infatti, conoscere alla perfezione le dinamiche delle banche centrali e prevederne le iniziative. I decisori economici, infatti, tendono a falsare il mercato. Il segreto è “scansarsi” un’attimo prima che la valanga scenda. Anche perché le condizioni che stanno alla base di un Carry Trade profittevole possono venire meno da un momento all’altro, trasformando un buon investimento in una catastrofe.
Anche perché, questo è bene saperlo, il Carry Trade funziona se i volumi sono alti. Le banche centrali tendono a inseguirsi a vicenda, e imitarsi, quindi a stabilire un costo del denaro il più possibile simile al principale concorrente. Le differenze sulla base delle quali si lucra, quindi, sono molto basse. Per esempio, il tasso di interesse della Bce è all’o%, quello degli Stati Uniti è all’1,50% ed è per giunta considerata una differenza molto ampia.
Ampia, certo, ma mai quanto quella registrata per tutto il 2011 tra il Messico e gli Stati Uniti. Non stupisce che proprio in quell’anno il Carry Trade sia salito alla ribalta, passando da approccio di nicchia ad approccio di massa. In particolare, la Fed per tutto il 2011 ha mantenuto i tassi allo 0,25%. Di contro, la banca centrale messicana li ha alzati al 4,5% per contrastare un’ondata inflattiva non indifferente. Parallelamente, i bond decennali messicani pagavano all’epoca il 6,33%. Insomma, c’erano tutte le condizioni per un buon Carry Trade. Molti, infatti, si arricchirono proprio sfruttando queste dinamiche.
L’entità dei tassi di interesse spinge molti carry trader a puntare sulla leva finanziaria. In linea di massima, si tratta di un ragionamento corretto: si interviene artificialmente per compensare un utile in senso assoluto altrimenti troppo basso. Va però ricordato che la leva finanziaria è un’arma a doppio taglio: aumenta in maniera esponenziale le vincite, ma anche le perdite. Ecco, quindi, che le decisioni delle banche centrali giocano un ruolo cruciale. Da qui la necessità di conoscerne a menadito il passato, il presente e – nei limiti delle umane possibilità – il futuro.