L’euro dollaro è senza dubbio la coppia di valute regina del Forex. Lo è per importanza delle economie a essa collegate, rispettivamente la prima e seconda per Prodotto Interno Lordo. Lo è da un punto di vista più prettamente finanziario, essendo la coppia euro dollaro estremamente liquida, e capace di generare un volume di scambi pari a 2mila miliardi di dollari al giorno.
Non stupisce, dunque, che sia continuamente oggetto delle analisi degli esperti. Di recente, visto l’intensificarsi del grado di incertezza a livello globale, alcune famose banche commerciali si sono espresse ufficialmente sulle prospettive dell’euro dollaro da qui alla fine del 2019. In genere, si segnala un cauto ottimismo, come testimoniano le previsioni al rialzo di alcuni nomi importanti del mercato del credito. Tra tutte, però, spicca UBS che invece si dice molto pessimista e stima un euro dollaro in forte calo entro dicembre. Ne parliamo in questo articolo.
Euro Dollaro: l’opinione di UBS
Secondo UBS, l’euro dollaro sarà interessato da un trend negativo, e si porterà sotto 1,10 entro la fine dell’anno. E’ una previsione di un certo peso, in quanto la 1,10 è una soglia psicologica importante. Abbattuta questa, infatti, si aprono le prospettive per una parità, al prescindere dal fatto che sia raggiungibile nel medio e lungo periodo. Ma perché UBS stima l’euro al ribasso? Le ragioni di una tale previsione vanno rintracciate sia nell’economia reale, che come abbiamo già detto sta restituendo una certa incertezza a livello globale, sia nelle politiche monetarie portate avanti dalle due banche centrali: la BCE e la Fed.
Nello specifico, UBS considera decisivo l’andamento dell’economia dell’euro zona. Anzi, lo giudica così importante e impattante da oscurare gli altri fattori potenzialmente in grado di risollevare i destini dell’euro dollaro. Il pessimismo della UBS, va detto, trova fondamento nelle performance che i paesi dell’eurozona stanno restituendo, a cominciare dalla Germania. Proprio il paese di Berlino si sta rendendo protagonista di un declino dell’industria, segnalato da abbondanti e continuati segni meno.
Queste considerazioni, per inciso, sono contenuto in un recente paper (fine giugno) elaborato a Bhanu Baweja, deputy head of macro strategy di UBS.
Euro Dollaro: l’opinione delle altre banche commerciali
Va detto, però, che l’opinione di UBS non è condivisa da tutte le banche commerciali impegnate nell’elaborazione dell’analisi. Tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, infatti, spiccano molte banche commerciali che si sono posizionate in maniera differente in merito ai destini prossimi dell’euro dollaro. Ovvero, in una posizione che non solo non crede a un declino della celebre coppia, ma che suggerisce addirittura una certa crescita. Di questo gruppo fanno parte la tedesca Commerzbank, la francese Société générale e l’olandese ING.
Questa spaccatura dimostra ancora una volta come l’attuale panorama sia affetto da una grave fenomeno di incertezza, dovuto probabilmente all’entrata a gamba tesa della politica sull’economia. Il riferimento, ovviamente, è alla questione dei dazi. A tutt’oggi, ovvero a luglio 2019, è impossibile capire come andrà a finire.
Ad ogni modo, le banche appena citate credono che l’euro si rafforzerà sul dollaro in maniera significativamente entro la fine dell’anno. Questa opinione è corroborata in particolare da Chris Turner, head of FX strategy di ING Direct, che suggerisce un possibile 1,15. Si tratterebbe di una crescita netta pari a qualche decina di pip.
L’elefante nella stanza: il Quantitative Easing
I fattori che le banche commerciali prendono in considerazione per analizzare l’euro dollaro sono, com’è normale che sia, l’economia reale e la politica monetaria. In situazioni normali, l’economia reale è sempre fonte di una qualche incertezza, mentre alla politica monetaria viene attribuita una leggibilità maggiore, grazie soprattutto alle dichiarazioni dei presidenti delle banche centrali, intenti a creare il minor impatto psicologico possibile.
L’attuale situazione, però, di normale ha poco. In primo luogo, l’economia reale è più incerta di quanto non lo sia da qualche anno a questa parte. La causa va rintracciata ovviamente nelle vicende politiche globali, con esplicito riferimento alla guerra dei dazi, che a tratti sembra in via di degenerazione e a tratti appare sull’orlo di una conclusione. Secondariamente, si sta ravvisando un certo grado di incertezza circa le politiche monetarie. In sintesi, le banche commerciali potrebbero rivedere i propri piani e invertire il segno della politica monetaria.
Il riferimento, in questo caso, è alla Banca Centrale Europea. L’istituto retto da Mario Draghi (e prossimamente da Christine Lagarde) potrebbe rispolverare il Quantitative Easing. La prospettiva è stata resa nota proprio da Mario Draghi poco tempo fa, ed è stata giustificata con i timori per l’inversione del ciclo economico.
Ovviamente, se la BCE programmasse un nuovo Quantitative Easing, le carte in tavola verrebbero pesantemente sparigliate. Di base, si assisterebbe a un indebolimento consistente dell’euro, e al verificarsi delle previsioni di UBS. Tuttavia, in un tale contesto andrebbe considerata anche la reazione della Fed, che potrebbe non rimanere con le mani in mano.
La marcia indietro della Fed
Anche la politica monetaria della Fed rischia di riservare qualche sorpresa. Ufficialmente, la banca centrale americana ha introdotto il biglietto verde in un percorso di inasprimento dei tassi che, seppur lento, continua ormai da qualche anno. Tuttavia, le mutate condizioni economiche potrebbero causare una modifica significativa della politica monetaria.
Tra i fenomeni che potrebbero far cambiare idea al board della Fed c’è quello relativo alla bassa inflazione. Inaspettatamente, gli Stati Uniti stanno sperimentano tensioni sul lato dei prezzi. Tale tensione ha raggiunto livelli considerevoli, almeno a giudicare dalle pressioni che l’amministrazione Trump sta esercitando – sul piano mediatico ovviamente – sulla Fed affinché tagli i tassi.
Lo scenario più paradossale restituirebbe il cambio di segno di entrambe le politiche monetarie, quella della BCE e quella della Fed. A questo punto, sarebbe molto complicato fare previsioni, anche perché sarebbe necessario indagare sui tempi e sui modi di queste nuove politiche monetarie.
Probabilmente, a salire in cattedra, e a rappresentare l’unico fattore veramente dirimente, sarebbe proprio l’economia reale. In questo caso, salvo sorprese drammatiche, l’euro potrebbe indebolirsi in virtù della maggiore forza della crescita americana. Le prospettive dell’economia europea, infatti, almeno in relazione al secondo semestre 2019, non sono granché buone: bassa crescita ovunque, contrazione rilevante della produzione industriale in molti paesi dell’area euro.