Di tanto in tanto, anche presso il grande pubblico, si parla di insider trading. Alla gente comune, o ai trader meno esperti, questo termine fa venire in mente un certo tipo di investitore, che con disonestà e astuzia riesce ad accedere alle informazioni più importante e “fregare” il mercato. Questa definizione di insider trader non è così lontana dalla realtà, ma è bene non ridurre questa figura a una macchietta, a un personaggio da film.

L’insider trading è infatti un problema serio, che in linea teorica (e non solo) reca danno a tutti, anche ai pesci piccoli, a tal punto da richiedere un intervento da parte delle istituzioni. Ne parliamo in questo articolo, offrendo una panoramica del fenomeno e spiegare perché l’insider trading danneggia tutti, magari anche te che stai leggendo questo articolo.

Cos’è l’insider trading

Cos’è esattamente l’insider trading? Prima di offrire una definizione chiara ed esaustiva, in grado di andare oltre i pregiudizi e i falsi miti, è bene specificare un aspetto, che è poi il più importante di questa storia: l’insider trading è un reato. Lo è in quasi tutte le legislazioni nazionali, solo qualche sparuto paradiso fiscale o qualche stato canaglia non lo riconosce come tale. Non che vi sia un gran rischio che le persone comuni diventino insider trader. Si tratta infatti di un crimine raffinato, quasi elitario. Purtroppo, come la maggior parte di crimini di questo tipo, rischia di danneggiare i più piccoli.

Ad ogni modo, si definisce insider trading l’abuso di informazioni privilegiate e non accessibili al pubblico a scopo di investimento. In buona sostanza, l’insider trading viene a sapere in via esclusiva e in anticipo sugli altri elementi, eventi e fatti che possono muovere il mercato, di modo che possa trovarsi in una situazione di vantaggio una volta che la notizia viene resa nota. Il termine “insider” deriva esattamente dallo status di chi commette questo crimine: egli possiede informazioni privilegiate perché è “dentro” i meccanismi di un’azienda, di un’istituzione, di un’ente.

Sia chiaro, non è un reato possedere quelle informazioni, a un certo livello è inevitabile. E’ invece reato usarle. Dunque è un reato, in virtù del possesso di informazioni esclusive:

  • Acquistare e vendere direttamente o indirettamente, per conto proprio o per terzi, strumenti finanziari;
  • Comunicare queste informazioni per motivi che vadano oltre la propria attività professionale;
  • Raccomandare ad altri operazioni finanziarie sulla base delle informazioni privilegiate.

Insomma, è insider trading tutto ciò che possa causare vantaggio a sé e a terzi e che sfrutti le informazioni privilegiate ed esclusive.

Tra parentesi, l’espressione “informazione privilegiata” ha una chiara definizione. A tal proposito citiamo quella de Testo Unico della Finanza.

“Informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari od uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.

Forme più sfumate di insider trading, ma non per questo mene pericolose, sono il tipping e il tuyautage.

Il tipping è semplicemente la rivelazione a terzi di queste informazioni, senza offrire indicazioni sull’operazione da mettere in atto (se l’interlocutore è un esperto, però, è in grado comunque di sfruttare l’informazione a suo vantaggio).

Il tuyautage, invece, è l’esatto contrario: l’indicazione senza informazione. Si verifica quando l’insider consiglia un’operazione a una terza persona, senza rivelargli l’informazione privilegiata. Se il rapporto tra l’insider e il trader è consolidato, la frittata è comunque fatta: il secondo si fida del primo, e l’operazione fraudolenta ha comunque luogo.

Perché l’insider trading è un danno per tutti, anche per il piccolo trader

Evidentemente, l’insider trading è una questione elitaria, è un crimine commesso da chi è addentro a certi meccanismi, da chi occupa posizioni di potere o è prossimo alle posizione di potere. Niente di più lontano dal trader retail, magari dal trader che sta a metà strada tra l’amatorialità e il professionismo. Apparentemente, la questione non lo riguarda. E invece no: l’insider trading rischia di danneggiare tutti, anche il pesce piccolo. Il motivo è piuttosto evidente, e c’entra con il comportamento messo sempre in atto dagli insider trading e dalle sue conseguenze per il mercato.

Chi fa insider trading, lo fa per guadagnare tanto denaro. Anzi, tantissimo denaro. Il gioco deve valere la candela, dal momento che è un gioco rischioso. Dunque, nella maggior parte dei casi, le azioni fraudolente muovono volumi elevati, spesso e volentieri enormi. Così enormi da incidere sul prezzo. Ecco, dunque, che l’insider trader non si limita a sfruttare una situazione di vantaggio, ma addirittura manipola il mercato. E se il mercato è manipolato ne vanno di mezzo tutti. Per fare un esempio: le analisi tecniche e fondamentale perderebbero di efficacia, poiché a incidere sul prezzo ci sarebbe un fattore nascosto, sconosciuto, “imponderabile”.

Per questo motivo, anche il piccolo trader, che opera con capitali risicati, subirebbe un danno: i suoi trade rischiano di fallire anche se lui ha messo in atto tutte le competenze  necessarie per comprendere il mercato e intercettare i movimenti di prezzo.

Perché l’insider trading non è un problema così grosso (almeno per ora)

Dunque, cosa si può concludere? La comunità dei trader, pesci piccoli compresi, è completamente alla mercé dei criminali, succube degli insider trading?

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In realtà il problema è grosso, ma non così grosso. In primo luogo, gli insider trading non sono così tanti, non sono in numero così nutrito da manipolare il mercato sempre e comunque, anche se ovviamente può capitare.

Secondariamente, le legislazioni nazionali si sono da tempo attrezzate per intercettare, vietare (prima di contrastare il reato, una legislazione lo deve definire) e sanzionare l’insider trading.

L’impianto normativo è severo soprattutto in Italia. Il riferimento da prendere in considerazione è il Testo Unico della Finanza, o Legge Draghi. Essa è stata approvata nel 1998.

La normativa è avanti in quanto prevede strumenti sanzionatori solidi ma anche perché prevede strumenti di prevenzione. Per esempio, chi si trova in posizioni di potere o privilegiate, deve comunicare alla CONSOB tutte le operazioni che mette a segno, se riguardanti asset collegati alla sua posizione.