L’analisi fondamentale è, al pari di quella tecnica, il pilastro dell’analisi su trading. E’ uno strumento imprescindibile per chi vuole approcciarsi al mercato in maniera consapevole, per chi vuole tradare con una strategia alle sue spalle. E’ anche una disciplina molto difficile, che procede dal possesso di un patrimonio teorico non indifferente. E’ anche al centro di una furiosa diatriba con l’analisi tecnica. I fautori di quest’ultima, infatti, forse in maniera un po’ integralista, tendono a negarne l’utilità. E’ una pretesa a nostro avviso priva di argomentazioni valide, anche perché l’analisi fondamentale è nata insieme ai mercati finanziari e la sua ragione d’esistere è ampiamente giustificata dalla sua capacità di resistere più o meno indenne a secoli di storia del mercato.
Di seguito, una trattazione esaustivo su cosa sia l’analisi fondamentale e su come si utilizzi.
I principi dell’analisi fondamentale
Al pari dell’analisi tecnica, anche l’analisi fondamentale si appoggia a dei principi, a dei postulati più o meno arbitrari (fino a un certo punto) da cui procedono approcci e tecniche più particolari. Da un certo punto di vista, si segnala una certa condivisione delle basi teoriche con l’analisi tecnica, sebbene a un certo punto le prospettive divergano in modo quasi radicali.
La storia si ripete. Tale postulato è identico a quello dell’analisi tecnica, e infatti siamo di fronte a un punto in comune abbastanza solido, un argomento che non dà adito alle già accese polemiche tra le due “tifoserie”. La storia si ripete perché gli investitori tendono a reiterare gli stessi comportamenti, a prescindere dall’asset che commerciano o dalla piattaforma che usano. A eventi simili, dunque, si reagisce in maniera simile. Tale postulato apre immensi spazi sul fronte della modelizzazione, tendenza – per non dire feticcio – a cui anche l’analisi fondamentale è affezionale.
Il mercato è razionale. Gli investitori hanno un obiettivo logico e incontrovertibile: il profitto. Tale logicità viene fatta corrispondere a una razionalità di fondo, che vede il trader evitare – molto semplicemente – il pericolo e perseguire il guadagno. Ciò, alla prova dei fatti, è solo parzialmente vero dal momento che il mercato, soprattutto in questo periodo, è molto suscettibile e tendenze all’irrazionalità, almeno nel brevissimo periodo. Porre questo postulato, tuttavia, è necessario per conservare fertile il terreno su cui si poggia la creazione di tecniche. Nella peggiore delle ipotesi, dunque, siamo di fronte a una ideal-tipizzazione del mercato.
Il mondo è interconnesso. Questo il punto in cui l’analisi fondamentale e tecnica divergono. I fautori di quest’ultima, a dire il vero, non negano tale verità semplicemente affermano che è inutile ai fini dello studio dei prezzi: è tutto già nei grafici e i prezzi, che “scontano tutto”. Per gli analisti fondamentali, invece, per fare un gioco di parole, il fatto che gli investitori scontino “non è affatto scontato”. Per tale motivo è necessario fare affidamento sulla verità secondo cui un evento genera un influenza sui prezzi, intensa o debole che sia, e come tale va considerato.
Le difficoltà dell’analisi fondamentale
I più maligni dicono che i sostenitori dell’analisi tecnica “uber alles” disprezzano la fondamentale perché, in fondo, non la sanno usare. In verità non sarebbe una grande colpa, anche perché l’analisi fondamentale è davvero difficile da padroneggiare.
Nella tecnica, dopotutto, è necessario imparare a padroneggiare gli indicatori e riconoscere i segnali. In questo caso si “legge” e basta. Nel caso della fondamentale, si legge certo ma soprattutto si “interpreta”. I segnali non si ricavano in automatico, a un fatto o a una combinazione di fatti non corrisponde sempre una conclusione. Da che mondo e mondo, capire le influenze che un fenomeno esercita su un’altro fenomeno è più difficile che far di conto.
Un’altra difficoltà è determinata da fatto che, spesso e volentieri, il postulato della razionale viene spesso confessato. Gli scambi abbandonano il rassicurante campo della logica ed entrano in quello, ben più complicato, dell’emozione. L’esempio tipico è dato dai rumor, che spesso fanno i prezzi e che vengono alimentati da sentimenti di paura, euforia etc.
Infine, va considerata l’enorme mole di date potenzialmente analizzabile. Non si tratta di pochi indicatori ma di migliaia e migliaia di voci che, almeno potenzialmente, possono avere un effetto sui prezzi. Un po’ per risparmiare tempo un po’ per istinto di sopravvivenza, gli analisti fondamentali profondono le proprie risorse su un numero circoscritto (ma pur sempre ampio) di dati.
Come si fa l’analisi fondamentale
E’ impossibile descrivere in un articolo in che cosa consiste, dal punto di vista concreto, l’analisi fondamentale. D’altronde può essere padroneggiata solo dopo anni di esperienza. Tuttavia è possibile menzionare i principali campi di applicazione. L’analisi fondamentale spesso consiste nello studio della situazione economico dell’oggetto immediatamente connesso all’asset commerciato. Nel caso di una valuta, lo Stato che la utilizza. Nel caso – per esempio – di un’azione, le condizioni finanziarie ed economia dell’emittente. Nella prima fattispecie si studiano elementi quali crescita del PIL, tasso di disoccupazione etc. Nella seconda fattispecie l’attenzione va riposta sullo stato patrimoniale e in generale sul bilancio societario.
Sia chiaro: la pratica dell’analisi fondamentale non può prescindere da una solida conoscenza del passato. Se è vero che la storia si ripete, allora è necessario conoscere cosa è successo, in modo da ricavare evidenze immediate circa il presente e l’immediato futuro. E’ questo l’elemento di maggiore criticità. L’analisi fondamentale vuol dire innanzitutto studio teorico (certamente arricchito dall’esperienza).
Le possibilità per i principianti si esauriscono quasi nello studio dei market mover. Questi disegnano un concetto interessante. Per market mover si intendono quegli eventi, in genere di grossa portata, che sicuramente esercitano un impatto misurabile e dimostrabile sui prezzi di un asset in particolare.
I market mover possono essere studiati con facilità per almeno due motivi. Primo, gli analisti ne parlano spesso, quindi è possibile ottenere spunti di riflessione con relativa facilità. Secondo, la data in cui avvengono, e persino i loro contenuti attesi, vengono riportati nei cosiddetti calendari economici.
E’ un market mover, per esempio, una dichiarazione del governatore di una banca centrale, una conferenza nella quale vengono diffusi i dati sull’inflazione, sulla disoccupazione, sul Pil etc.
I market mover hanno una particolarità. Fanno riferimento a un asset in particolare ma, vuoi per una influenza indiretta vuoi per la reazione a catena, estendono la loro influenza anche ad altri asset.
Si pensi al market mover per eccellenza: la dichiarazione sui tassi di interesse statunitensi. E’ ovvio, l’evento riguarda essenzialmente il dollaro ma incide anche sul valore delle altre monete, persino sulle economie nazionali. Un esempio? Nel 2011 il crollo prolungato dei tassi di interesse ha esportato inflazione nei paesi del Sud America, causando una crisi monetaria come poche ce ne sono state negli anni precedenti.
In un certo senso, l’impatto dei market mover dimostra il postulato dell’interconnessione. Dopotutto, gli asset, i mercati e persino i segmenti sono collegati tra di loro. E’ un dato di fatto e ignorarlo può costare molto caro.