Non è facile, soprattutto per chi è agli inizi, comprendere in maniera esaustiva le dinamiche del mondo del trading online, Forex compreso. D’altronde, i mercati sono influenzati da un numero incredibilmente alto di attori economici, di investitori che si differenziano per conoscenze, capacità, risorse economiche.

Tuttavia, l’alone di mistero, o l’ambiguità che spesso si percepisce riguardo il mondo dell’investimento speculativo, può assottigliarsi se si ricercano e si ricercano dati oggettivi. Lo ha fatto il famoso blog Tradeciety.com, che ha elencato 24 statistiche legate al mondo del trading, e che spiegano innanzitutto perché i trader tendono a perdere molto denaro.

Le statistiche che spiegano il mondo del trading

L’80% dei trader principianti abbandona il mercato nel giro di due anni. E’ una statistica spiazzante. Anche perché suggerisce un’amara verità: chi inizia a fare trading, ha solo una possibilità su cinque (in media) di sviluppare una carriera, di trasformare l’investimento speculativo in un’attività a medio-lungo termine.

Il 40% dei novizi rimane sul mercato per un solo mese. Questo dato è, in un certo senso, complementare al primo e serve ad approfondire una dinamica molto importante: la difficoltà di superare la barriera all’entrata. Rivela però anche una certa incapacità di reagire agli eventi negativi. Anche perché, a prescindere dalle performance, un mese è troppo poco per capire se si è portati o no per il trading.

A distanza di tre anni dall’inizio dell’attività di trading, solo il 13% continua a investire quotidianamente. A distanza di cinque anni, solo il 7%. Questo dato completa i due precedenti e fa comprendere quanto stretto sia il collo di bottiglia.

Solo l’1,6% dei trader riesce a generare profitti “puliti”, al netto delle commissioni e delle spese. Questa percentuale, veramente misera, serve a capire, ancora una volta, quanto stretto sia il collo di bottiglia per chi vuole guadagnare con il trading.

Chi fa profitto è più attivo di chi non lo fa. Per la precisione, il 12% dell’intero ammontare delle posizioni è aperto dai trader che riescono a generare profitti. Si tratta di un dato interessante, che in qualche maniera rivela che sì, tradare “spesso” non impatta negativamente sul risultato finale e non riduce le speranze di profitto.

I trader con aspirazioni di gran lunga superiori alle loro attuali condizioni economiche tendono ad assumersi rischi maggiori. Questo è un dato che ha a che vedere con la psicologia e, allo stesso tempo, con la gestione del rischio. Aiuta a comprendere come un certo sentire personale, o una condizione di sofferenza emotiva, possa incidere negativamente sulla gestione del rischio. In questo caso, essa non è demandata a elementi e tecniche razionali, risultando meno efficace e anzi compromettente.

Gli uomini fanno trading più delle donne. Questo dato ha due chiavi di lettura. Una risiede nelle dinamiche del trading, che si sposerebbero con un approccio tipicamente maschile. L’altra riguarda una questione di inclusione, se non di discriminazione.

Gli uomini celibi fanno trading più degli uomini sposati. E’ difficile leggere questo dato. In verità, le motivazioni potrebbero essere numerose: dal minor tempo a disposizione a una inferiore attitudine al rischio, determinata dall’insorgere delle responsabilità familiari (soprattutto quando ci sono i bambini e si avverte in maniera netta la necessità di entrate stabili).

Gli individui che versano in una condizione economica peggiore, che vivono in aree urbane e fanno parte di minoranze tendono a investire maggiormente in strumenti ad alto rischio, i cui meccanismi ricordano il gioco d’azzardo. Potrebbe essere un problema di istruzione, di istruzione sociale o essere un riflesso del dato riguardante il gap tra situazione attuale e aspirazioni.

All’interno di qualsiasi tipologia di trader (day, swing, scalper etc.), gli individui con scarsa attitudine al rischio performano meglio degli individui con un’alta attitudine al rischio. Questo dato è certamente indicativo. Nello specifico, rivela che il rischio va gestito, e che un’atteggiamento prudente è sempre da preferire.

Nel 2002, in Taiwan, il numero dei trader è calato del 25% dopo che lo Stato ha introdotto la lotteria. E’ un dato locale, che non può logicamente rappresentare il mondo del trading nella sua interezza. Tuttavia, fa pensare. Nello specifico, fa pensare che una parte dei trader (a prescindere dalla sua consistenza numerica) confonda, come minimo al livello inconscio, il trading con il gioco d’azzardo.

Nei periodi in cui i giochi d’azzardo a carattere pubblico (es. lotteria) fanno segnare i jackpot più alti, l’attività di trading si fa più complessivamente più rada. Questo dato lancia lo stesso messaggio del precedente: da alcuni, il trading viene visto, inconsciamente o meno, come una specie di gioco d’azzardo. Si tratta di un approccio chiaramente sbagliato, e che può portare alla rovina.

I trader tendono a vendere un titolo che hanno precedentemente venduto generando profitto, rispetto ai titoli che hanno sì precedente venduto, ma per limare una perdita. Ciò significa solo una cosa: che il trading è un’attività ricca di incognite, e quindi gli investitori sono soliti – magari inconsciamente – fidarsi di quello che conoscono o fare riferimento alle consuetudini (piuttosto che a un’analisi razionale). Di nuovo, siamo di fronte a un dato che inequivocabilmente dimostra quanto sia significativa e impattante la componente psicologica, che in questo caso si manifesta nella necessità di controllo.

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A incrementi nell’attività di analisi e ricerca seguono spesso utili più alti nelle successive due settimane. Questo dato è molto interessante in quanto dimostra in modo limpido come una delle chiavi per praticare un’attività di trading profittevole sia lo studio del mercato. Ciò che colpisce di più, però, è l’orizzonte temporale. Gli effetti di una incremento dell’analisi si vedrebbero, infatti, già dopo due settimane.

I trader investono in maniera più compassata se i loro trade recenti sono andati a buon fine. Questa affermazione dimostra una certa prudenza da parte dei trader profittevoli, nonché un marcato autocontrollo. In teoria, alla generazione di utili dovrebbe seguire una certa euforia, potenzialmente pericolosa per l’attività di trading. I trader vincenti, però, tendono a mettersi a riparo da queste dinamiche rischiose.

A Taiwan, la somma delle perdite degli investitori nel giro di un anno è mediamente pari al PIL prodotto dalla stessa Taiwan nel medesimo periodo di riferimento. Di nuovo, siamo di fronte a un dato locale, che non può avere una valenza complessiva. Tuttavia, dimostra quanto profonde ed estese possono essere le perdite nel trading. E’ un dato che certamente invita alla prudenza.

I trader sovrastimano i titoli azionario che fanno riferimento al settore per cui lavorano. E’ una statistica molto interessante, in quanto rivela un certo gap tra percezione e realtà, una certa difficoltà a vedere le come stanno. Questa dinamica è potenzialmente molto pericolosa in quanto capace di falsare le analisi, con tutte le conseguenze del caso sul fronte dei profitti.

Gli investitori con il QI più alto investono maggiormente nel risparmio gestito e diversificano di più. Il messaggio è ovvio: la diversificazione è necessaria e fa bene all’attività di investimento. Non di meno, se realizzata con prudenza e accortezza, anche la condivisione del rischio (come accade nel risparmio gestito) può rappresentare un motivo di successo.

Cosa ci dicono queste statistiche

Alcune di queste statistiche perseverano nel lanciare il medesimo messaggio. A una lettura più accurata, è possibile isolare tre messaggi differenti, o motivazioni che causano la rovina dei trader.

Il trading è un’attività difficilissima. A dimostrarlo, sono i numeri. Come abbiamo visto, solo il 7% dei novizi continua a tradare dopo cinque anni. Il collo di bottiglia è strettissimo, e solo i migliori ce la fanno. Questo porta a un corollario: aspettarsi di diventare ricchi dall’oggi al domani è un atteggiamento senza senso, la strada più rapida per perdere denaro e abbandonare il mercato.

L’elemento psicologico conta molto. Per quanto il trader vincente sia visto come un individuo freddo e calcolatore, quasi privo di sentimento (almeno quando investe), l’elemento psicologico è caratterizzato da una certa dirompenza. E’ una verità con la quale è necessario venire a patti, nella speranza di piegare l’elemento psicologico, governarlo, e far sì che provochi meno danni possibile.

Il trading è ancora visto, in parte, come un azzardo. Il rischio è sempre presente, il pericolo è in agguato, le probabilità di sconfitta sono alte. Eppure non c’è – o non dovrebbe esserci – niente di più distante dal gioco d’azzardo del trading online. Il problema è che alcuni, magari inconsciamente, come dimostrano alcuni dati “locali” tendono ad associare le due cose.

Il trading è ancora un’attività maschile. Probabilmente, il motivo non risiede in una presunta – e forse immaginaria – incompatibilità tra l’approccio femminile al trading. Semplicemente, il trading è storicamente un mondo maschile, e tale viene considerato ancora oggi. Per inciso, la percentuale di donne dedite al trading aumenta di giorno in giorno.