In questo inizio drammatico di 2020, una minaccia appare realmente in grado di gettare sul globo paure, ansie e psicodrammi: la diffusione di una particolare forma di coronavirus. Come molti sapranno, il virus si è sviluppato in Cina. Presenta i sintomi di una grave influenza, dalla quale differisce per due caratteristiche: è molto più contagioso e parecchio più mortale.
Il primo pensiero va ai rischi per la salute, sui quali l’OMS non si dice ottimista. Persino in Europa, lontana dalla Cina migliaia e migliaia di chilometri, il rischio contagio è “moderato” (ovvero medio, non basso). Tuttavia, se siete degli investitori, dovreste preoccuparvi anche per gli effetti che una eventuale pandemia potrebbe esercitare sul mercato. Anche perché eventi di questo genere hanno un impatto destabilizzante a livello internazionale.
Ne parliamo in questo articolo.
Coronavirus: la situazione a fine gennaio
Cos’è il coronavirus e perché fa così paura? Innanzitutto occorre specificare che il termine “coronavirus” è provvisorio, e infatti ufficialmente indica solo il tipo di virus. Forse per scaramanzia, o più probabilmente perché ci sono questioni più importanti da dirimere, al virus non è stato dato ancora un nome, a differenza di quanto accaduto a inizio secolo con la celebre SARS (con cui ha parecchio in comune).
Ad ogni modo, il virus presenta i sintomi di una influenza grave, a tal punto da essere scambiata per tale negli individui particolarmente sani. La mortalità però è molto più alta e, quel che conta, è in crescita settimana dopo settimana. Oggi, al 28 gennaio, i contagiati sono 4500 circa e i morti 106. Il tasso di mortalità, dunque, sfiora il 2,5%. I dati vengono però dalla Cina, e c’è chi li mette in dubbio.
Il virus fa molta paura perché ha già dimostrato di “saper mutare”, nonché di essere estremamente contagioso. All’inizio, infatti, il tasso di mortalità era tra l’1 e il 2%.
La Cina ha preso contromisura drastiche. Ha isolato l’area di Wuhan, la città da cui è partito il virus. Una area incredibilmente vasta, si parla di decine di migliaia di chilometri quadrati e decine di milioni di persone. Molti disagi si stanno registrando nei trasporti, sia di merci che di persone, e ovviamente nel commercio.
Sono in molti, però, a pensare che le cose siano destinate addirittura a peggiorare, almeno fino a quando non si conoscerà di più sulla malattia e non sarà trovato un vaccino.
Le prime reazioni dei mercati
Che c’entrano i mercati con un virus simil-influenzale? Ebbene, c’entrano tantissimo. In primis, perché tensioni a livello internazionali di qualsiasi genere si riflettono sempre sulle azioni degli investitori. Secondariamente perché le contromisure prese per arginare il contagio giocoforza provocano dei danni economici, sono di intralcio al commercio e alle attività produttive. Si pensi all’obbligo imposto dal Governo Cinese di prorogare le vacanze per l’inizio del nuovo anno cinese ai primi di febbraio!
La situazione è peggiorata nel weekend 24-26 gennaio, a tal punto che le prime reazioni dei mercati si sono già registrate lunedì, alla riaperture delle borse. Ebbene le piazze asiatiche hanno fatto segnare un profondo rosso, ma il calo – da lieve e moderato – ha interessato anche le piazze occidentali.
Inoltre, il prezzo dell’oro è salito, il prezzo del petrolio è sceso, i rendimenti dei bund tedeschi si sono abbassati. Cosa sta succedendo? E cosa accadrà in caso di pandemia? L’eventualità sarebbe drammatica, e le performance dei mercati passerebbero in secondo piano, ma è comunque bene rifletterci su.
Quale impatto in caso di diffusione del virus?
Di seguito ecco alcune dinamiche che di potrebbero verificare a seguito di un peggioramento dell’epidemia o addirittura dell’esplosione di una pandemia stile SARS (o addirittura peggiore).
L’aumento del prezzo dell’oro
Il primo impulso, quando le tensioni internazionali si intensificano, è di rivolgersi ai beni rifugio. E’ una dinamica assolutamente fisiologica e connaturata al pensiero dell’investitore. Ciò si traduce in un aumento della domanda, e quindi del prezzo, di alcuni asset, in primis dell’oro. Già nella giornata di lunedì 27 l’oro ha toccato i massimi dal 2012.
Una dinamica simile sta coinvolgendo anche un bene rifugio sui generis, come il bund tedesco. Non a caso, è aumentato di prezzo, e dunque il suo rendimento si è ulteriormente abbassato.
Calo del prezzo del petrolio
Discorso inverso per il petrolio. Il prezzo del petrolio, al netto delle vicende geopolitiche (che incidono in misura drammatica) è indice dell’andamento delle economie reali. Non c’è di cui stupirsi: quando l’economia “va bene”, la domanda di energia, e quindi di petrolio, è in aumento e quindi anche il suo prezzo. Non è un caso che il prezzo più basso del petrolio è stato toccato durante la seconda ondata della crisi economica.
Dunque, se l’epidemia dovesse deprimere il commercio e causare quindi danni tangibili alle economie, il prezzo del petrolio potrebbe scendere. Una dinamica simile è stata apprezzata già nella giornata di lunedì 27.
Calo del prezzo delle materie prime
Un discorso simile potrebbe riguardare anche le materie prime, categorie a cui comunque il petrolio appartiene (anche se in genere è catalogato sotto l’etichetta “energetica”). Ad ogni modo il ragionamento è il medesimo: le materie prime sono necessarie alle attività produttive, soprattutto nel settore secondario, dunque una economia in decrescita potrebbe impattare negativamente sulla domanda e spingere verso il basso i prezzi.
Ovviamente si tratta solo di ipotesi, ma in linea di massima il rapporto causa effetto si basa su elementi di logica, oltre ad avere il conforto della statistica e delle sequenze storiche.
Le economie in difficoltà
Se ipotizziamo una peggioramento dell’epidemia, o addirittura l’esplosione di una vera e propria pandemia, per definizione tutte le economie verrebbero coinvolte. Tuttavia, a rischiare, almeno in un primo momento, sarebbero quelle che si basano sui rapporti stretti con la Cina, che nel corso del tempo hanno sviluppato con il colosso asiatico un rapporto simbiotico. Per esempio, quelle economie che forniscono la Cina di materie prime, e a livelli massicci per giunta, visto il fabbisogno enorme del gigante di Pechino.
Il riferimento è all’Australia, che figura tra i principali esportatori di materie prime in Cina. Anche in questo caso, è bene dirlo, si tratta di supposizione, ma di certo non campate in aria.