Il tessuto imprenditoriale italiano si tinge sempre di più di micro aziende con pochi addetti: secondo quanto affermato dall’Istat nell’apposito dossier, le microimprese (quelle con meno di 10 addetti) sono il 95,1 per cento del totale, assorbendo il 47,2 per cento della forza lavoro, ma rappresentando solo il 31,4 per cento del valore aggiunto realizzato. Insomma, le micro aziende sono il vero perno dell’economia italiana, sgomitano ogni giorno per cercare di dar lavoro a un dipendente su due attualmente occupati, ma non riescono a generare grande marginalità. Ma come si distinguono le piccole imprese da quelle medie e grandi?
Il riferimento principale nel tentativo di definire e recintare il perimetro delle microimprese, delle piccole imprese, delle medie imprese e – per esclusione – delle grandi imprese, è costituito dalla Raccomandazione 2003 / 361 / CE della Commissione Europea, del 6 maggio 2013.
Secondo quanto indicato in ambito comunitario, le imprese possono essere definite in funzione del proprio organico e del proprio fatturato, nel seguente modo:
microimpresa: è un’impresa il cui organico è inferiore a 10 persone, e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non supera i 2 milioni di euro;
piccola impresa: è un’impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro
media impresa: è un’impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro.
Stabilito quanto sopra, occorre altresì ricordare che la riconduzione di un’impresa all’interno di una delle categorie di cui sopra, non è sempre vincolante. Di norma, infatti, la definizione di micro, piccola e media impresa è rilevante solamente ai fini della concessione di agevolazioni o contributi, e nell’applicazione di misure in favore delle aziende di minori dimensioni.
Ricordiamo infine che la stessa Raccomandazione contribuisce a far luce su tre concetti riferibili:
imprese autonome: si tratta di imprese che non sono né partner, né collegate, non possiedono partecipazioni del 25% o più di altra impresa, non è detenuta direttamente al 25 % o più da un’impresa o da un organismo pubblico, oppure congiuntamente da più imprese collegate o organismi pubblici, non elabora conti consolidati e non è ripresa nei conti di un’impresa che elabora conti consolidati e quindi non è un’impresa collegata;
imprese partner: sono imprese che hanno relazioni di partenariato finanziario significative con altre imprese. In sintesi, un’impresa è partner di altra impresa se possiede una partecipazione compresa tra il 25 % e meno del 50 % in tale impresa; quest’altra impresa detiene una partecipazione compresa tra il 25 % e meno del 50 % nell’impresa richiedente; l’impresa richiedente non elabora conti consolidati che riprendono l’altra impresa e non è ripresa tramite consolidamento nei conti di tale impresa o di un’impresa ad essa collegata;
imprese collegate: sono le imprese che fanno parte di un gruppo economico che controlla direttamente o indirettamente la maggioranza del capitale o dei diritti di voto, o ha la possibilità di esercitare influenza dominante su un’impresa.