Il piccolo investitore è soggetto a errori come e più del grande investitore. La questione ruota attorno al concetto di “artigianalità”. Chi amministra le proprie finanze in una prospettiva di investimento, e lo fa in autonomia, in genere non vanta competenze da professionista.

Con questo non vogliamo scoraggiare l’approccio “autonomo”, tutt’altro. Vogliamo però fare luce su alcuni rischi, ovvero sulla tendenza a commettere specifici errori. Qui ne elenchiamo sei. 

Gli errori dell’investitore retail

Gli errori che più di frequente commette il piccolo investitore coprono diversi ambiti. Alcuni sono di natura spiccatamente tecnica, altre comportamentali. Altri, infine, sono dovuto all’impatto dell’immaginario collettivo, che spinge l’individuo a dare per scontato dinamiche che non lo sono affatto, e a ignorarne altre.

Non guardare all’orizzonte temporale

Non è solo una questione di breve e medio periodo. Di base, non c’è un orizzonte valido per tutti gli investimenti e per tutte le situazioni. Ma proprio per questo motivo è bene integrare nel proprio processo decisione l’elemento “tempo”. Ci si dovrebbe prefigurare, nello specifico, quali siano le esigenze future, e quanto lontano questo futuro sia. Per esempio, gli obiettivi di un investitore di sessant’anni non possono essere identici agli obiettivi di un giovane lavoratore di trenta.

Molto spesso, il piccolo investitore segue modelli preconfezionati, i quali considerano l’elemento “orizzonte temporale” in modo asettico. In questo caso, è come calzare delle scarpe mediamente comode, ma che non corrispondono mai alla propria taglia.

Il consiglio, dunque, è di elaborare i propri obiettivi e, di conseguenza, la proprio strategia considerando anche e soprattutto l’orizzonte temporale.

Diversificare poco o non diversificare per nulla

Questo è l’errore più comune e allo stesso tempo più grave. Il concetto di diversificazione, a dire il vero, è ben conosciuto anche dagli investitori poco esperti, dunque è estremamente raro imbattersi in un individuo che, avendo il desiderio di investire, ignora del tutto la necessità di diversificare. Può capitare, però, su questo non c’è dubbio. 

Capita più di frequente che il piccolo investitore sia sì impegnato nella diversificazione, ma in un modo poco consono, poco efficace. Magari diversifica poco, spesso e volentieri diversifica male. Ora, non è possibile improntare in questa sede una lezione sulla diversificazione, anche perché si tratta di un argomento molto ampio e complesso. Possiamo però invitare a un approfondimento, e a rivedere le proprie strategie di diversificazione. Possiamo certamente diversificare che l’obiettivo primario della diversificazione è preservare il proprio capitale dagli shock, ma anche attutire le perdite nei periodi ordinari e, se possibile, favorire una maggiore redditività.

Trascurare i mercati esteri

Questo è un errore molto comune e che spesso non ci si accorge di commettere. Quasi in automatico, il piccolo investitore riserva tanto spazio, spesso troppo, ai mercati nazionali, trascurando in modo significativo i mercati esteri. E’ semplicemente naturale rivolgersi a “ciò che offre la casa”. Altrettanto spesso, è un approccio intenzionale, motivato dalla necessità di operare con quello che si conosce. E’ ovvio: la conoscenza dei mercati esteri è mediamente meno approfondita della conoscenza dei mercati nazionali.

ftmo

Eppure, operando solo con asset nazionali si corre il rischio di perdere molte opportunità, nonché dei buoni strumenti di diversa. D’altronde, è complesso realizzare una buona strategia di diversificazione se ci si limita agli asset nostrani. Il consiglio, dunque, è di approcciarsi in modo acritico e aperto anche ai mercati esteri. 

Non studiare gli indicatori della domanda e dell’offerta

Questo è un errore di tipo tecnico, e che dunque viene commesso in modo del tutto naturale, senza nemmeno rendersi conto. Spesso ci si impelaga in chissà quali indicatori, in metodi analisi complessi, che prevedono l’uso dei software. Un passaggio propedeutico a qualsiasi decisione, invece, dovrebbe essere la semplice analisi della domanda e dell’offerta di un titolo, che nella stragrande maggioranza dei casi significa studiare i volumi. Informazioni, quelle sui volumi, che sono facilmente reperibili.

Stiamo parlando di un indicatore di fondamentale importanza, che nella peggiore delle ipotesi suggerisce la condizione in cui versa un asset, mentre nella peggiore delle ipotesi permette di anticipare (seppur di poco) cambi di trend, eventi particolari che saranno visibili a grafico in un secondo momento. Insomma, l’analisi della domanda e dell’offerta è una risorsa molto utile. Perché non utilizzarla?

Basarsi su informazioni di dominio pubblico

Questo è un argomento per nulla scontata e nemmeno di immediata comprensione. D’altronde tutti attingono alle informazioni di dominio pubblico. Cosa c’è di male? Fondamentalmente niente. Solamente, è necessario andare in fondo alle questioni, cercare notizie che possano fare da sfondo a dinamiche visibili e meno visibili, ma che sempre incidono sul prezzo. Se si basa la propria attività di investimento solo su informazioni “superficiali” cosa ci assicura che tutti gli altri investitori non stiano facendo lo stesso?

Con ciò non stiamo consigliando di fare dell’insider trading. In primo luogo, è un reato. Secondariamente, è quasi impossibile farlo. Molto banalmente, studiate più in profondità le vicende legate a un asset, non vi fermate alle prime pagine dei giornali. 

Non riconoscere l’impatto della psicologia

Questo è un argomento molto spinoso. Spesso si tende a ignorare l’impatto della psicologia o a negarlo del tutto, più per contegno o per scaramanzia, che per reale convinzione. Eppure la psicologia conta, o per meglio dire conta la propria sfera psicologia. In ogni caso, e a prescindere dal proprio bagaglio di competenze, si corre il rischio che le proprie decisioni siano dettati da impulsi sotterranei, che da analisi ed evidenze tecniche.

Negare queste dinamiche è inutile e controproducente. Si rischia, anzi, di cadere in un circolo vizioso in cui le decisioni hanno un movente psicologico, dunque potenzialmente molto inefficace, ma non si fa nulla per evitarlo. Il consiglio, dunque, è di riconoscere queste dinamiche, in qualche modo venirne a patti, se possibile intraprendere un percorso di conoscenza personale tale da permettere una distinzione tra sfera psicologica e attività di investimento.