Dall’inizio dell’anno, il dollaro statunitense ha registrato una significativa perdita di valore rispetto alle principali valute internazionali. Questo andamento negativo ha sollevato dubbi tra analisti e investitori sulla sostenibilità del suo ruolo dominante come valuta di riserva globale. Tuttavia, per comprendere appieno la situazione, è necessario distinguere chiaramente tra un semplice indebolimento della valuta e una reale perdita del suo status internazionale.
Perché il dollaro sta perdendo terreno?
Fuga dagli asset statunitensi
Da gennaio, l’indice del dollaro (Dollar Index), che misura la performance della valuta americana rispetto a un paniere delle principali valute mondiali, ha perso circa l’8,5%. Questa tendenza ribassista non riguarda solo il mercato valutario: anche azioni e obbligazioni statunitensi hanno subito deflussi significativi.
Alla base di questo fenomeno vi è principalmente una crescente sfiducia degli investitori verso le politiche economiche adottate dall’amministrazione Trump. Secondo le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), tali politiche potrebbero frenare la crescita globale e, in particolare, quella degli Stati Uniti. Inoltre, l’incertezza politica e le preoccupazioni relative allo stato di diritto stanno minando la fiducia degli investitori internazionali nel lungo periodo.
Il cambio euro-dollaro: inversione delle aspettative
Solo pochi mesi fa, molti analisti prevedevano una parità imminente tra euro e dollaro. Tuttavia, queste aspettative si sono rapidamente invertite: recentemente il cambio EUR/USD ha superato nuovamente quota 1,15, livello che non si vedeva dalla fine del 2021. Questo cambiamento riflette chiaramente il mutato sentiment degli investitori nei confronti della valuta americana.
L’indebolimento del dollaro è davvero un problema per gli Stati Uniti?
La strategia della Casa Bianca: un dollaro debole per rilanciare l’export
Sebbene ufficialmente gli Stati Uniti abbiano sempre sostenuto una politica monetaria orientata a un dollaro forte, nella pratica l’amministrazione Trump ha spesso mostrato interesse verso un indebolimento controllato della valuta nazionale. Un dollaro più debole favorisce infatti le esportazioni americane e sostiene il settore manifatturiero interno.
Stephen Miran, capo del Consiglio dei Consulenti Economici della Casa Bianca, sostiene apertamente che la cronica sopravvalutazione del dollaro sia alla base degli squilibri commerciali statunitensi. Secondo questa visione, un dollaro troppo forte rappresenta un peso per gli Stati Uniti, che forniscono liquidità globale e protezione militare ai propri alleati senza ricevere adeguate contropartite economiche.
I possibili “Accordi di Mar-a-Lago”: una nuova versione degli Accordi Plaza?
Una delle idee più discusse recentemente è quella dei cosiddetti “Accordi di Mar-a-Lago”, dal nome della residenza in Florida dell’ex presidente Trump. Questi accordi ipotetici richiamano gli storici Accordi Plaza del 1985, quando Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania e Giappone concordarono una svalutazione coordinata del dollaro.
Tuttavia, secondo gli analisti di Edmond de Rothschild, questa proposta rimane al momento altamente speculativa e poco realistica. Il contesto economico globale è profondamente cambiato rispetto agli anni ’80 e oggi i detentori di asset denominati in dollari sono molto più diversificati geograficamente.
Cosa comporterebbe realmente una svalutazione prolungata del dollaro?
Effetti positivi e rischi inflazionistici
Una svalutazione prolungata potrebbe certamente migliorare la competitività delle esportazioni americane sui mercati internazionali. Tuttavia, renderebbe anche più costose le importazioni negli Stati Uniti, alimentando potenzialmente pressioni inflazionistiche interne.
Inoltre, se la svalutazione fosse accompagnata da massicci deflussi dagli asset statunitensi (azioni e obbligazioni), ciò potrebbe portare a un aumento dei rendimenti obbligazionari USA. Tale scenario rischierebbe di annullare i benefici derivanti da condizioni finanziarie più favorevoli per la crescita economica.
Esiste davvero un’alternativa credibile al dollaro?
L’euro e lo yuan: limiti strutturali evidenti
Anche se il declino del dollaro dovesse continuare nel breve termine, ciò non implica automaticamente la perdita del suo status di valuta di riserva globale. Affinché ciò avvenga sarebbe necessaria una valida alternativa internazionale che attualmente non esiste.
- L’euro: nonostante sia la seconda valuta più utilizzata al mondo dopo il dollaro, presenta ancora limiti strutturali importanti. I mercati obbligazionari europei mancano della profondità necessaria e l’integrazione economica europea rimane incompleta.
- Lo yuan cinese: pur essendo sempre più rilevante negli scambi commerciali globali, resta una valuta fortemente controllata dalle autorità cinesi e priva della trasparenza richiesta dai mercati finanziari internazionali.
Dollaro ancora dominante nei numeri
I dati parlano chiaro: attualmente il dollaro viene utilizzato nell’88% delle transazioni commerciali globali ed è presente nel 59% delle riserve valutarie detenute dalle banche centrali mondiali. Inoltre, gli Stati Uniti dispongono dei mercati finanziari più liquidi e strutturati al mondo con oltre 31 trilioni di dollari in asset detenuti da investitori esteri (dati US Treasury).
Conclusione: nessuna alternativa concreta al momento
Sebbene l’attuale scenario politico ed economico americano stia generando incertezza sui mercati finanziari globali e indebolendo temporaneamente il valore del dollaro USA, appare improbabile che nel breve-medio termine questa valuta perda realmente il suo ruolo centrale nell’economia mondiale. In assenza di alternative credibili e considerando la profondità dei mercati finanziari statunitensi, gran parte dei capitali globali continuerà inevitabilmente ad essere investita negli Stati Uniti.
Fonte: Marketscreener.com